Valor on the Move (Italian): Capitolo 1

 

Un giorno, quando la gente gli avesse chiesto com’era stato crescere da gay alla Casa Bianca, Rafael Castillo avrebbe risposto che era stato come farsi penetrare senza lubrificante. E non in senso buono. Non che Rafael avesse intenzione di farsi penetrare senza lubrificante, ma avrebbe gradito fare sesso con un altro uomo prima che le palle gli diventassero blu e cadessero.

«Piccolo, meglio che vada a letto. Qua è già tipo l’alba.» Ashleigh sbadigliò rumorosamente. «Sono contenta che sei tornato a casa senza problemi da quel seminario del cavolo.»

Casa. Dopo sette anni gli sembrava ancora strano pensare alla Casa Bianca come casa sua. «Grazie. Divertiti a mangiare croissant e leggere poesia esistenzialista seduta lungo la Senna. O cos’altro fa la gente a Parigi nel tempo libero.» Rafa agitò pigramente il piede sotto il lenzuolo, fissando il vecchio poster di Kelly Slater che aveva sulla parete color crema da quando si erano trasferiti lì. Sua madre aveva vietato le puntine e insistito per farlo incorniciare in un legno rossiccio di gran gusto.

Ashleigh rise. «Ho passato due ore a spiegarti che cosa fa la gente a Parigi, e neanche una volta ho menzionato brioche o poesie angoscianti. Ma ammetto che sia tutto piuttosto glamour. Anche se sono una stagista di basso livello, è pur sempre Vogue. Mi hanno permesso di portarmi a casa una sottoveste dal guardaroba. Proprio il leggendario guardaroba di Vogue

«Oh là là.» Rafa abbassò la voce. «La stai indossando adesso?»

Il tono della ragazza si fece sensuale. «Certo che sì. È di pizzo nero e quasi completamente trasparente.» Fece una pausa. «Tu cosa indossi, seduttore?»

Lui rise. «Il solito.» Con Ash poteva parlare del più e del meno, scherzare e non pesare ogni singola parola. Avrebbe voluto fosse così facile con il resto del mondo, ma Ashleigh era l’unica persona che lo conoscesse davvero. Che conosceva il suo vero io.

«Uhm. Dato che sei in camera tua dove nessuno ti vede, immagino che ti sei tolto la solita camicia e pantaloni, e messo boxer e una T-shirt degli Yankees con su qualche macchia di cibo.»

«Quasi. È una vecchia maglietta dell’Università della Virginia che mi hanno dato all’incontro con le matricole. La macchia è di pizza.»

«Sexyyy. Ehi, ringrazia di nuovo tuo papà per aver fatto quelle telefonate, okay?»

«Lo farò quando torna da dove cavolo si trova adesso.» Rafa diede un’occhiata all’orologio digitale sul comodino. Erano da poco passate le undici: tempismo perfetto. Di sotto doveva essere tutto tranquillo.

«Quand’è stata l’ultima volta che gli hai parlato?»

«Pensavo volessi andare a dormire.»

Ashleigh sbuffò, e lui se la immaginò alzare gli occhi al soffitto. «Rispondi alla domanda.»

«Boh. Alcune settimane fa. È stato impegnato. Sai, il G7, gli accordi di pace ceceni, il pappa e ciccia con l’NRA. Comunque, dai, vai a letto. Sono contento che ti sei fatta un’amica che ama l’arte rinascimentale quanto te.»

«Sì, anch’io. Sarà un’estate divertente. Ti voglio bene, piccolo.»

«Anch’io ti voglio bene, Ash.»

Chiuse la chiamata e gettò il telefono sul letto, accanto a sé, ridacchiando. Anche se era vero che Ashleigh amava Michelangelo, lo staff che monitorava le chiamate doveva rimanere stupito di tanta passione. Sebbene sapesse che i servizi segreti e il personale della Casa Bianca erano interessati solo alla protezione del Presidente e della sua famiglia, Rafa non smetteva mai di portare avanti quella messinscena. Lui e Ash avevano inventato il codice non molto dopo aver cominciato a stare insieme… per modo di dire. Nel loro linguaggio segreto, le motociclette indicavano i bei ragazzi. Per esempio, se Rafa diceva: «Oggi ho visto una moto fantastica, una Ducati dalla carrozzeria rossa», voleva dire che aveva adocchiato un rosso sexy che si sarebbe fatto volentieri. Chi, a detta di Ash, condivideva il suo interesse per l’arte del Rinascimento era in realtà una lesbica che lei avrebbe voluto rimorchiare.

All’inizio parlare in codice era stato solo un gioco divertente, ma adesso era la norma. Aspetto più importante, era efficace: lo facevano da tre anni e ancora la loro omosessualità non era trapelata. Avevano recitato alla perfezione il loro ruolo di giovani innamorati, con grande beneficio per entrambi. Ashleigh non era ancora pronta a dichiararsi ai suoi genitori, che erano incredibilmente conservatori, e neanche Rafa. Almeno non ancora. Buona parte del mondo aveva fatto molta strada in materia di diritti gay, certo, ma i neoconservatori negli Stati Uniti avevano opposto dura resistenza. Un presidente repubblicano con un figlio gay che viveva alla Casa Bianca? Sarebbe stato un incubo per suo padre, figurarsi per lui. Rafa aveva ancora sette mesi da passare a Washington prima dell’insediamento del nuovo presidente in gennaio, e poi sarebbe stato libero.

Gli sarebbe piaciuto avere accanto Ash al seminario estivo per giovani leader che sua madre lo aveva costretto a sorbirsi dopo gli esami. Seguire le lezioni non era affatto la stessa cosa senza la sua migliore amica. Il primo giorno del corso introduttivo di Studi Americani all’Università della Virginia, mentre gli altri compagni si erano messi a sussurrare furtivamente, fissando un po’ Rafa e un po’ gli agenti dei servizi segreti che, in pantaloni cargo e polo, stavano in fondo all’aula senza riuscire a mimetizzarsi, Ashleigh si era seduta accanto a lui cominciando a lamentarsi della pressione dell’acqua nel dormitorio. Gli aveva anche chiesto se gli “scagnozzi” di Rafa potessero ammazzare la sua compagna di stanza che russava e farlo sembrare un incidente.

Sbadigliando, Rafa si stirò sul letto. Prima che si trasferisse lì, a quattordici anni, nella sua camera c’era stato un letto a baldacchino. Fortunatamente l’avevano ridecorata in toni caldi, marrone rossiccio e verde, con un letto semplice. Avevano persino rifatto il suo bagno personale, tutto in bianco lucido e argento. A parte il poster del surfista, quella poteva essere una camera d’albergo. Aveva già disfatto i bagagli e ogni cosa si trovava di nuovo in ordine nel guardaroba o nella scintillante cassettiera di mogano. La stanza di sua sorella Adriana di solito assomigliava a una zona colpita da uragano, mentre Rafa teneva la sua ordinata e linda. I genitori avevano insistito che le loro stanze e i bagni fossero sempre puliti, e meno motivi lui dava loro per criticarlo, meglio era.

Dopo essersi alzato e infilato jeans e sneaker, Rafa si diede una rapida occhiata nello specchio, osservando contrariato le sue stupide lentiggini, che erano già più visibili anche se l’estate era appena cominciata. I suoi folti capelli castano scuro avevano la tendenza ad arricciarsi, e dopo la doccia serale non li aveva divisi e tirati indietro con il suo solito gel extra-forte. Si spazzolò i ricci delicati via dalla fronte, appuntandosi mentalmente di chiedere a Henry, il capo usciere, di far venire il barbiere, dato che appena sopra le orecchie gli si stavano già formando delle onde. E l’ultima cosa che gli serviva era essere di nuovo chiamato Pecorella.

A Rafa si infiammavano ancora le guance quando ripensava a quel meme che girava su internet, con la sua faccia photoshoppata su una pecora a dondolo dalla chioma a cespuglio. Aveva appena cominciato il nuovo liceo a Washington, a metà dell’anno scolastico, dopo l’insediamento del padre. A quattordici anni era uno spilungone allampanato con la bocca riempita dall’apparecchio. Improvvisamente i suoi nuovi compagni avevano iniziato a dire «Peeecorella!» quando entrava in aula, e lui non aveva capito la battuta finché non aveva cercato su Google. Di solito i ragazzi a scuola lo trattavano bene, ma quel meme li divertiva terribilmente. Anche se Rafa si era tagliato i capelli quasi a zero già il giorno dopo, il nomignolo gli era rimasto appiccicato.

Aprì di poco la porta e sbirciò fuori dalla stanza, ufficialmente nota come camera da letto 303. Non c’era realmente bisogno di essere furtivo, dato che il secondo e il terzo piano della residenza rappresentavano gli unici posti al mondo in cui fosse libero dagli agenti, lo faceva per abitudine. La stanza del fratello maggiore Christian si trovava in fondo al corridoio, ma Chris aveva ventisette anni e non aveva mai vissuto a tempo pieno alla Casa Bianca. Adesso era a New York e Rafa, come al solito, era tutto solo lassù al terzo piano. Alla sua sinistra c’erano la stanza della musica e la palestra. Dirigendosi verso le scale oltrepassò la cosiddetta stanza del cedro, un piccolo spazio rivestito interamente di legno di cedro che in passato serviva come deposito invernale, e la stanza della biancheria, il cui nome già diceva tutto. Quella dei giochi si trovava dall’altra parte del corridoio, e alcune camere da letto punteggiavano il resto del piano.

Dietro alla stanza della biancheria c’era il suo posto preferito al mondo, la cucina speciale. Il nome indicava un tipo di cucina nella quale si preparavano pasti specifici per gli invalidi in ospedale. Roosevelt l’aveva fatta installare perché odiava il cibo preparato dalla governante e voleva che i suoi pasti fossero cucinati lì.

Rafa si infilò nello stretto passaggio. La piccola cucina rettangolare era appena sopra il portico a nord, e la luna brillava attraverso il lucernario nel tetto inclinato. Insieme a un forno, un frigo e un lavabo, lo spazio era circondato da un bancone e dei pensili. Senza aver bisogno di accendere le luci per orientarsi, passò le mani sulle lisce superfici. Era una cucina essenziale, senza attrezzi particolari o lussuosi. Ma era sua. Almeno per il momento. Per la maggior parte del tempo era chiuso nel dormitorio a pensare con smania al burro che si scioglieva nella padella e al profumo di spezie appena macinate. Il giorno dopo avrebbe steso la pasta per fare i ravioli, ma poteva cominciare quella sera stessa a preparare il ripieno.

Rafa tornò nel corridoio centrale e scese in punta di piedi al piano terra, usando le scale posteriori accanto all’ascensore presidenziale. Anche se portavano quasi direttamente in cucina, comparve uno degli agenti, aggiustandosi la giacca.

«Esci?» chiese Brent. Era un uomo alto e leggermente panciuto, dai capelli scuri tendenti al grigio.

«Prendo solo uno spuntino. Non ci metto molto.»

Lui annuì. «Grazie per avermi avvisato, Rafa.»

Rafael proseguì verso la cucina buia. Per la sua gioia la trovò vuota, e sospirò. Se si fosse trattato di Adriana o del fratello Matthew, Brent probabilmente li avrebbe seguiti subito per controllare che non cercassero di svignarsela. Ovviamente era impossibile oltrepassare i cancelli, ma anche solo stare all’aperto senza la loro sorveglianza era severamente proibito. Ma Rafa non aveva mai cercato di fregare gli agenti. Facevano solo il loro mestiere, e crear loro grattacapi non aveva alcun senso.

Le luci tenui sotto i pensili gettavano ombre sui banconi e sull’enorme cucina, e Rafa vedeva a sufficienza da non dover accendere le luci centrali. Quando aprì la porta della cella frigorifera e la luce si accese automaticamente, il suo battito accelerò e sulle sue braccia nude si rizzarono i peli. Esplorò veloce gli scaffali, cercando i contenitori che gli interessavano. Era sicuro che Magda tenesse il prosciutto crudo a portata di mano, e sperò di essere abbastanza fortunato da trovare anche del formaggio di capra. Non le sarebbe dispiaciuto se lui avesse preso in prestito qualche ingrediente.

Okay, tecnicamente era un furto, non un prestito. I suoi genitori pagavano per tutto il cibo che la famiglia consumava fuori dalle funzioni ufficiali e dalle feste, e Rafa sapeva che gli ingredienti che sgraffignava sarebbero stati aggiunti al conto. Una volta, all’inizio della presidenza, Chris aveva invitato degli amici del college per un party mentre i suoi erano fuori città, in una delle sue rare ribellioni. Aveva ordinato una marea di snack dalla cucina, e i genitori gli avevano fatto ripagare tutto fino all’ultimo centesimo. Rafa avrebbe comprato volentieri da sé il prosciutto e il formaggio, ma inevitabilmente sarebbero state fatte delle domande. Non poteva fare un salto al minimarket come niente fosse. Le guardie a lui assegnate lo avrebbero saputo, e lui non voleva spingerle a mentire nel caso sua mamma avesse fatto delle domande. E poi sarebbe stato da stupidi chiedere loro di mentire per una cosa del genere. Più facile arrangiarsi da sé.

Afferrò un panetto di caprino e si spostò verso il freezer. Tenne la porta aperta, rabbrividendo mentre cercava il prosciutto sugli scaffali. «Dai, dai…» Rovistò in mezzo alla scarsa carne lì conservata, sperando che Magda tenesse del cotto per le emergenze. La maggior parte degli ingredienti erano freschi, e a quanto pareva, a Rafa stavolta era andata male.

Sopra il ronzio della ventola, udì per un momento un rumore di tacchi, e poi: «Tesoro, non dovresti essere a letto?»

Sobbalzò suo malgrado, sbattendo gli occhi nella penombra della cucina mentre riponeva il formaggio sullo scaffale più vicino. La silhouette slanciata di sua madre comparve sulla soglia della cella e Rafa si sforzò di sorridere. «Prendevo solo uno spuntino.» Afferrò una vaschetta di gelato. Sua madre aveva corrotto Brent perché facesse la spia? Non che la first lady Camila Castillo avesse bisogno di simili mezzucci: bastava che ordinasse, e la gente di solito era troppo terrorizzata per non obbedire all’istante.

«Buona idea. Devi mettere altra carne su quelle ossa.» Glielo disse sorridendo, ma Rafa si sentì avvampare ovunque. Durante il college era cresciuto fino a raggiungere quasi il metro e ottanta, e anche se negli anni aveva messo su muscoli, sentiva ancora di avere ginocchia e gomiti nodosi. Chiuse la porta del freezer scrollando le spalle.

Prese un cucchiaio da uno dei tanti cassetti di posate, sentendosi addosso gli occhi di sua madre. Quando alzò lo sguardo, lei portò una mano al filo di perle che le ornava il collo. Brillavano persino in quella fioca luce. La donna indossava una gonna stretta e senza una piega, e i suoi capelli neri erano raccolti. A volte lui sospettava che dormisse in una camera d’aria ermeticamente sigillata, progettata apposta per non farle andare un capello fuori posto.

«Lavori ancora, mamma? Non dovresti essere a letto anche tu?» Camila Castillo aveva diverse regole, una delle quali era di vestirsi sempre in maniera adeguata al compito del momento. Quando lavorava era vestita di tutto punto, non importava se fosse l’alba o il cuore della notte.

«Touché. Comunque sì, ho qualche affare da sbrigare per la Fondazione prima del prossimo viaggio.»

«Perché non lo fai fare al tuo staff? Non lo paghi per questo?»

Lei sorrise, facendo sfavillare il rossetto. «A volte, per ottenere un buon lavoro, bisogna farlo da sé.»

Dato che lui ultimamente aveva fatto parecchie cose male, cambiò argomento e chiese: «Come sta zia Gabby?»

«Sta bene. È in visita dai cugini.»

Sua madre aveva l’abitudine di parlare della sua famiglia allargata come fossero parenti di sua sorella e suo fratello, ma non suoi. «A Mexico City? Quanto ci starà?» Rafa rigirò il cucchiaio. I suoi nonni erano ormai tutti morti una volta che lui era diventato grande abbastanza da poterli conoscere veramente, e non vedeva zia Gabriella da Natale. Certo, in generale non la vedeva molto. Gabby non era mai andata molto d’accordo con suo padre, e Rafa aveva l’impressione che sua madre giudicasse la propria famiglia semplicemente troppo… etnica. «Magari potrei…»

«Tesoro. Sai quanto può essere pericoloso. Non è una buona idea.»

«Ma non ci sono ancora stato. Non può essere così pericoloso. Voglio dire, tu ci hai vissuto da piccola.»

Sua madre si chiamava originariamente Camila Castillo de Saucedo, ma dopo che il marito aveva mollato l’avvocatura per dedicarsi a tempo pieno alla politica e correre per la carica di governatore del Jersey, aveva rinunciato al nome tradizionale messicano. Rafa e i suoi fratelli e sorelle erano sempre stati Castillo, il cognome del padre, e basta. I genitori si erano impegnati duramente per presentarsi come gli ispanici più bianchi e innocui che il denaro repubblicano potesse comprare, continuando intanto a rincorrere il voto dei latinos con grande successo. Rafa ancora non capiva come avessero fatto, ma così stavano le cose.

«E poi ho la mia guardia del corpo, mamma.»

Lei inclinò la testa, guardandolo con evidente esasperazione. «Ne abbiamo già discusso. I miei genitori si sono lasciati alle spalle il “vecchio mondo” per costruirsi una nuova vita in America.» Per un momento lui temette che si stesse per lanciare nel solito sermone sul sogno americano. «Perché mai dovrei voler tornare? O farci andare i miei figli? Questa è casa tua. Il Paese migliore al mondo.»

Prima che potesse proseguire, Rafa annuì. «Sì, okay. Hai ragione. Come sempre.» Sorrise.

«Certo che ho ragione.» La donna rise piano e rimase in silenzio per un momento. «Be’, volevo dirti che oggi ho fatto una chiacchierata con il tuo capo scorta.»

Il suo cuore perse un colpo, anche se Rafa sapeva di non aver fatto niente di male. «Okay.» Scavò con il cucchiaio nella vaschetta e si riempì la bocca di gelato alla menta con gocce di cioccolato, tanto per non dover dire altro.

Lei fece una smorfia. «Una scodella, Rafael, ti prego. Comportiamoci civilmente, eh?»

Lui mormorò delle scuse e tirò fuori una scodella da uno sportello. «Ne vuoi un po’?»

«No, tesoro.» Si diede una pacca sul vitino da vespa. «Come stavo per dire, a cominciare da domani ci saranno dei cambiamenti nella tua scorta.»

Rafa si bloccò con la mano a metà strada verso la vaschetta. «Che tipo di cambiamenti?»

«Cinque agenti saranno riassegnati e ne avrai solo due con te contemporaneamente.»

«Chi viene riassegnato?» La sua scorta attiva ventiquattro ore su ventiquattro seguiva tre turni a rotazione, con due agenti principali che gli stavano accanto quando era all’esterno della Casa Bianca, e almeno uno o due secondari in posizione, a seconda di dove si trovava e del livello di allerta.

«Non ne sono sicura.» Agitò la mano come a chiudere la questione, con le unghie accuratamente smaltate a catturare la luce. «Ma non importa, giusto?»

Lui depositò alcune palline di gelato nella scodella. «A me importa. Riesco almeno a salutarli, vero? Vorrei farlo.»

Lei sospirò. «Caro, sai che è per questo che ci cambiano le scorte ogni anno. Non possiamo affezionarci troppo. Quando succede, gli agenti lavorano meno bene. Stanno cambiando scorta a tutti noi.»

In piedi dall’altra parte dell’isola, davanti alla madre, Rafa si riempì la bocca per impedirsi di sbuffare con scherno. I servizi segreti cambiavano loro le scorte ogni anno perché gli agenti non si affezionassero troppo a loro, ma non c’era da illudersi che questo succedesse con Camila. L’unica volta che si ricordava dei loro nomi era quando doveva assegnare un compito non previsto dalle loro mansioni. Immaginava quanto i suoi agenti smaniassero per essere trasferiti. Invece quelli di Rafa sembravano sempre averlo in simpatia. Certo, anche in caso contrario non lo avrebbero dato a vedere.

«Ma siamo a giugno e le elezioni sono a novembre. A gennaio saremo fuori. Perché cambiarli adesso? Per noi qui è quasi finita.»

«Gli agenti con più esperienza servono alle famiglie dei candidati, specialmente ora che le elezioni si avvicinano. Livingston ha sei figli e tutti quei nipotini. A quanto pare hanno bisogno di incrementare la sicurezza. Sappiamo tutti che vincerà lui, che ci piaccia o no.»

Decisamente, a Camila Castillo la cosa non piaceva. Rafa ingurgitò un’altra cucchiaiata di gelato per non sorridere. Sua madre si sarebbe messa le mani nei capelli se avesse saputo che suo figlio minore avrebbe votato senza alcun dubbio per il democratico Stephen Livingston invece che per il successore repubblicano del padre, Tom Margulies. Il Paese era pronto per un cambio di regime, sebbene niente potesse cambiare sul serio con un congresso e un senato così bipartisan. Essendosi trovato nel cuore del governo americano per metà della sua vita, Rafa trovava piuttosto deprimente il fatto che ben poco cambiasse per il meglio.

«Io comunque voglio salutare gli agenti.» Sentì una fitta di dolore e pregò che Joanna e Stuart non se ne andassero. «Ma immagino che abbia senso.»

Sua madre sospirò, e la sua voce si fece insolitamente triste. «Sì, immagino. Presto ci butteranno fuori di qui.» Se avesse potuto, sarebbe rimasta alla Casa Bianca finché non avessero rinvenuto il suo cadavere. Il fantasma di Abe Lincoln, a un certo punto, si sarebbe ritrovato in buona compagnia. Rafa riusciva a immaginarsi la madre che fluttuava tra i corridoi silenziosi, esprimendo giudizi sulle scelte delle nuove first lady in merito ai servizi di piatti.

«Mamma, abbiamo avuto due mandati. Non è proprio malaccio. Non sarà piacevole tornare a una vita normale?» Era strano da morire pensare ai genitori che tornavano nel New Jersey. «Ti mancherà un po’, no? Almeno un pochino?» chiese speranzoso. Non gli piaceva immaginarsela infelice.

Lei sorrise. «Un pochino.»

Sporgendosi sull’isola, lui le porse una cucchiaiata di gelato. «Dai. Un boccone non ti farà male.»

«Suppongo di no.» La donna lo incontrò a metà strada e afferrò con grazia il cucchiaio. Dopo aver inghiottito, fissò il metallo ricurvo. «Sembrerà tutto così… piccolo. Io…» Si interruppe.

Rafa sussurrò a malapena, trattenendo il fiato. «Cosa?» Non ricordava l’ultima volta che aveva visto la madre divagare e perdere la sua compostezza perfetta.

«È una strana sensazione, sapere che i giorni più importanti della tua vita sono passati.» Tenne lo sguardo fisso sul cucchiaio. «Che qualsiasi cosa farai in seguito, non sarà lontanamente paragonabile.»

«Mamma…» Rafa avrebbe voluto toccarla, ma appena si mosse, lei alzò gli occhi e sorrise, la maschera di nuovo calata sul viso.

«Lascia perdere queste sciocchezze. Hai parlato con Ashleigh? Si sta godendo Parigi?» Gli passò il cucchiaio sopra l’isola.

Lui lo prese e si mise a giocherellare con il gelato che si stava sciogliendo nella ciotola. «Molto. Adora la città.»

«Non ti sentirai solo tutta l’estate?»

«No, va tutto bene. Ci sentiamo al telefono.»

«Rafa, assicurati che rimaniate in contatto. Questo è un momento cruciale per la vostra relazione, stai per cominciare l’ultimo semestre di università. Devi pianificare il tuo futuro. Dobbiamo parlare di dove vorresti avviare la tua carriera l’anno prossimo. Io e tuo padre abbiamo alcune idee. Perché non mi dici cos’hai imparato al seminario? Non ne abbiamo discusso come si deve.»

«Ti ho detto che è andato bene.»

Lei sollevò un sopracciglio finemente disegnato. «È tutto quello che hai da riferire in merito?»

Quello che Rafa avrebbe voluto dire era: In realtà ne ho odiato ogni minuto. Non voglio diventare un giovane leader, o crearmi agganci, sorridere e fingere di essere interessato alla dannata politica o al partito repubblicano. Ma contava come mezzo credito extra, e io mi sto facendo il culo per potermi laureare in anticipo. Alzò le spalle. «È stato interessante, direi. Mi ha aiutato a riflettere sul futuro.» Era vero: aveva rafforzato la sua determinazione a stare ben lontano dalla politica o dal mondo imprenditoriale.

«Ti sei creato qualche aggancio promettente? Sai che non puoi limitarti a vivere nell’ombra di tuo padre. Devi farti un nome, come tuo fratello Christian.»

«Uh-hu.» Rafa si sciolse in bocca della menta dolce e si sentì chiudere lo stomaco. Sapeva che non poteva aspettare troppo a lungo prima di dire ai suoi la verità, ma aveva ancora un po’ di tempo.

«E una signorina deliziosa come Ashleigh non aspetterà in eterno per accasarsi. Non darla per scontata, tesoro.»

«Non lo farò. Prometto.» Lui e Ash avevano già pianificato di rompere dopo l’insediamento del nuovo presidente. Avevano fatto corsi estivi e ottenuto ogni credito extra possibile per poter finire i corsi a dicembre. A gennaio entrambi si sarebbero dichiarati ai rispettivi genitori, e con un po’ di fortuna Rafa si sarebbe diretto verso l’altra parte del pianeta, senza agenti dei servizi segreti a monitorare ogni suo spostamento. I suoi genitori avrebbero avuto protezione a vita, ma lui finalmente sarebbe stato libero. Il pensiero del piano segreto gli fece battere forte il cuore. Ormai non mancava molto.

«È preziosa, Rafael. Non fartela scappare. Non fare niente che poi rimpiangerai.»

Lui fissò la scodella, sentendosi pesare addosso lo sguardo della madre. Era sempre stato così diligente nel nascondere qualsiasi indizio su chi fosse veramente. O no? Lì nella penombra, era certo che la madre potesse sbirciargli direttamente nel cuore. Gli stava dicendo di rimanere nascosto? Oppure era solo la sua immaginazione scatenata?

«Vabbè, dovremmo andare a letto, che ne dici?» La sua risata era dolce e melodiosa. «Lo so, lo so, non sei più un bambino.»

Rafa sciacquò la scodella e il cucchiaio in uno dei lavelli. «Arrivo subito, mamma.» Doveva tirare fuori dal freezer quel caprino.

Come se gli potesse leggere la mente a mo’ di sottopancia televisivo, la madre disse: «Tesoro, non starai di nuovo pensando di usare la cucina speciale per i tuoi piccoli… esperimenti, vero?»

Lui fece spallucce e continuò a sciacquare la scodella ormai pulita. «Avevo una mezza intenzione di preparare delle cose. Solo per divertimento.»

«Ne abbiamo parlato. Dovresti davvero dedicare il tuo tempo ad attività più concrete. Vorrei che quest’estate avessi un ruolo più importante nella Fondazione.»

«Uh-hu.» La fondazione di sua mamma in effetti faceva cose buone, e finché non doveva parlare in pubblico, Rafa era contento di dare una mano. «Va bene.» Infine posò la scodella e chiuse il rubinetto, stampandosi in faccia un sorriso mentre si girava. «È solo un hobby.»

«Magari tua sorella fosse più interessata a cucinare. Compiango il suo futuro marito!» La donna rise di gusto. «Ma sul serio, non è giusto sporcare l’altra cucina, caro. Lo staff ha già tanto da fare.»

Come se ti fregasse un cazzo di quanto lavoro ha lo staff. «Io pulisco sempre quando ho finito.»

Il sorriso di sua madre si spense. «Sai che io e tuo padre non lo riteniamo un uso appropriato del tuo tempo. Domani esamineremo i tuoi nuovi compiti presso la Fondazione. Penso che sarai molto contento di ciò che abbiamo in programma. Va bene?» Non attese una risposta. «Eccellente. Adesso andiamo a letto.»

Discutere non serviva a niente. Anche se Camila Castillo aveva mangiato centinaia di volte il cibo preparato da chef uomini, non riteneva la cucina un interesse adatto al proprio figlio. Punto e basta. Rafa rinunciò al formaggio e la seguì in corridoio, dove i suoi tacchi alti riecheggiarono sul pavimento lucido. Vedendola salire rapida le scale, Brent fece una smorfia comprensiva e lui gli rivolse un fugace sorriso.

Sul pianerottolo del secondo piano, la madre gli stampò un bacio sulla guancia, lasciando sicuramente una macchia rossa con il suo rossetto lucido.

«Vai a dormire un po’. Questa è la tua ultima estate a Washington e la renderemo memorabile. Alzati presto, va bene? Splendido.»

Testa alta e schiena dritta come una ballerina, la donna si stava già dirigendo verso la camera da letto padronale quando lui rispose: «Okay.»

La sua ultima estate a Washington.

Dopo più di sette anni, la libertà era così vicina che la sentiva come il sole sul viso. L’anno successivo, in quel periodo, si sarebbe trovato in Australia, lontano un milione di chilometri, a imparare a cucinare e a uscire con uomini. Il pensiero di riuscire finalmente a fare sesso gli provocò un brivido di eccitazione lungo la spina dorsale, seguito da una fitta appiccicosa di desiderio in ogni poro.

Rafa fece un respiro profondo. Manca poco. Nel frattempo sarebbe bastato tenere la testa bassa. Sette anni erano già passati, e gli restavano solo sette mesi da figlio del Presidente.

Un gioco da ragazzi.

Copyright © Keira Andrews and Raffaella Arnaldi (translator)

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