Una Nuova Vita: Capitolo Uno

 

Il mondo si stava svegliando.

Il cinguettio di un uccellino fuori dalla finestra era l’unico suono familiare che David riuscisse a distinguere, tra il ronzio dei motori e il rintocco lontano di una campana. Quando aprì gli occhi e si rese conto che era ancora tutto vero, avvertì un senso di vuoto allo stomaco: Isaac era insieme a lui, nel sontuoso letto per gli ospiti, a San Francisco. San Francisco!

Stando sdraiato sulla schiena, riusciva a scorgere il proprio riflesso oltre il corpo di Isaac, negli specchi lunghi e frivoli sulle ante dell’armadio. Nel vetro vedeva il viso addormentato di Isaac, rilassato e a labbra dischiuse; il ragazzo faceva respiri profondi e aveva la spessa coperta, simile a una trapunta, tirata sopra le spalle nude. David riuscì a malapena a reprimere l’impulso di accarezzargli i capelli arruffati color sabbia.

Si erano addormentati l’uno tra le braccia dell’altro, nudi e ancora bagnati, dopo una rapida doccia. David si domandò se sarebbe riuscito ad attirare a sé l’altro ragazzo senza svegliarlo. Probabilmente no, e Isaac aveva bisogno di riposare. Nonostante ciò, gli sfiorò la testa con la mano.

Non era stato un sogno. L’avevano fatto veramente. Se n’erano andati da Zebulon.

Lì, nella casa di Aaron, faceva deliziosamente caldo. D’inverno, David si era sempre svegliato dopo mezzanotte per alimentare la stufa a legna al piano di sotto. Detestava dormire coi calzini e, mentre spingeva nuova legna tra le fauci della stufa, saltellava sul pavimento gelido al buio, grato per le scintille che andavano a pizzicargli le dita dei piedi.

Mentre la luce grigia, che penetrava fra le assicelle della persiana sopra il letto, aumentava, David fissava un’enorme foto in bianco e nero del Golden Gate Bridge appesa su di un lucido cassettone nero. La cornice argentata della fotografia brillava.

Il letto era quello che gli Inglesi definivano matrimoniale e David aveva l’impressione che il materasso fosse alto un metro e mezzo. Non era sicuro di avere mai provato niente di tanto confortevole. A Zebulon le sedie e le panche non avevano cuscini, ma lì perfino la testiera del letto era imbottita.

A ogni battito del cuore, David avvertiva un’eccitazione martellante. Era arrivato in California! Un posto che aveva visto nei film, durante le sue gite segrete al drive-in. Si domandò se potevano visitare il ponte, ed era certo che Isaac sarebbe voluto andare al mare. Erano veramente arrivati fino all’oceano. Dopo tutto il suo disperato sognare e l’angoscia, ce l’avevano fatta.

Alla fine, lui e Isaac erano scappati coi soli vestiti che avevano addosso. Un sibilo gli riecheggiò nella mente, ricordandogli che era fuggito non soltanto dalla chiesa. Aveva lasciato da sole Madre e le ragazze. La dolce Mary e Anna, Sarah e…

Basta! Quello che è fatto è fatto.

Per un istante, David riuscì soltanto a concentrarsi sul ritmo del suo respiro, mentre l’ondata di panico si ritirava. Accanto a lui, Isaac mormorò e si mosse prima di tornare a dormire, sempre rannicchiato al suo fianco. David ascoltò la ninnananna che Isaac produceva, inspirando ed espirando.

Autobus dopo autobus, dal Minnesota alla California, lui e Isaac erano rimasti seduti con le spalle e le ginocchia vicine e le dita intrecciate, mentre le miglia scorrevano via. Piatte distese avevano ceduto il posto a colline e montagne, e poi al deserto. David non aveva mai visto con i propri occhi quanto fosse davvero vasto il mondo esterno, e l’America ne era soltanto una piccola parte.

Il tempo aveva perso significato, e lui aveva immaginato che il purgatorio dovesse essere così. Avevano guardato il paesaggio scorrere via attraverso un vetro lercio, fermandosi soltanto in stazioni degli autobus oscurate dai gas di scarico e dai motori rimbombanti. Nell’oscurità delle lunghe notti, spezzate soltanto dalle luci penetranti delle stazioni, David aveva avuto l’impressione che non sarebbero mai arrivati a San Francisco. Era sembrato tutto una specie di sogno. Ma adesso erano lì. Era reale.

Isaac emise un grugnito e rotolò verso di lui, poi tornò in silenzio, le labbra ancora dischiuse. Con un sorriso, David ripiegò le mani dietro la testa e lo guardò. Desiderava tracciare le lentiggini che gli danzavano a cavallo del naso e sulla parte alta delle guance, baciargli gli angoli delle palpebre per sentire il rapido movimento delle sue graziose ciglia. Voleva strofinarsi contro la sua barba, mentre le loro labbra si toccavano, e vedere l’ambra delle sue iridi mentre apriva gli occhi.

Lanciò un’occhiata all’orologio elettrico, dalle rosse cifre luminose, sul comodino accanto a sé. Erano le sette passate, ma non avevano dormito molto. Sebbene David desiderasse sentire Isaac contro di sé, anche soltanto la libertà di poterlo guardare mentre dormiva era molto più di quanto avesse mai ritenuto possibile. Non avevano avuto tempo per riposare nell’unica altra occasione in cui avevano condiviso un letto.

Il familiare senso di colpa ritornò, rapido come il morso di un serpente, e le immagini di quel giorno gli si riversarono nella mente. Ruvide lenzuola e coperte gialle al Wildwood Inn, lui e Isaac sudati e appiccicosi nel loro mondo privato. Il biancore accecante della neve e il sangue cremisi. Lospedale grigio e…

Strinse forte gli occhi. Non aveva importanza quello che potevano dire gli altri: l’incidente era colpa sua. Se avesse resistito al bisogno egoista di svignarsela insieme ad Isaac, sua madre non sarebbe mai rimasta ferita. Anche se le avesse dato tutti i suoi risparmi per le spese ospedaliere, come avrebbero fatto lei e le ragazze a tirare avanti da sole?

Erano passati tre giorni. Cercò di immaginare cosa stessero facendo in quel preciso istante. Stavano andando avanti come al solito, col bucato, la cucina e le pulizie? E se Mary o Anna avessero avuto bisogno di aiuto col fastidioso chiavistello della porta della ghiacciaia? Come avrebbero fatto col lavoro al fienile e coi cavalli? Kaffi poteva essere problematico al mattino presto, quando era irritabile e testardo.

David pensò al messaggio conciso che aveva scarabocchiato su un pezzo di carta sul tavolo della cucina.

Isaac e io andiamo nel mondo esterno. Scriverò presto e, per favore, dite ai suoi genitori che lo farà anche lui. June Baker ha del denaro per voi. Kaffi è da lei. Mi dispiace.

Sapeva che Madre non avrebbe compreso la sua scelta. Avrebbe potuto scriverle migliaia di lettere, ma non avrebbe mai avuto importanza. Sentiva ancora l’eco delle sue grida, domenica, durante la messa, prima che lui e Isaac fuggissero da Zebulon.

«Perché Dio mi punisce?»

Non ricordava di avere mai visto Madre mostrare tanta emotività, nemmeno quando suo fratello e suo padre erano morti. Sentirla mettere in discussione la volontà di Dio lo faceva ancora rabbrividire.

Lei si meritava una spiegazione, ma David non avrebbe mai potuto dirle la verità sul suo amore per Isaac. Era un abominio agli occhi del Signore e della chiesa. Pensò alla parola Inglese che aveva sentito nei film: gay. Madre non avrebbe mai potuto capire. Aver ricusato la vita semplice e pura, senza dubbio, era già stato un dolore straziante per la sua famiglia. Se avesse detto loro chi era veramente…

Si sentì stringere il petto. Non avrebbero mai capito. Era impossibile. Immaginò che sarebbe potuta finire soltanto in due modi: o avrebbero fatto qualsiasi cosa per convincerli a pentirsi e vivere una buona vita da Amish, oppure li avrebbero banditi. Anche se non era ufficialmente Meidung, messo al bando da Zebulon, dato che non si era unito alla chiesa, la sua famiglia poteva comunque ignorarlo.

Isaac borbottò e si mosse al suo fianco, per tornarsene poi a dormire con un suono secco e continuo che non poteva propriamente definirsi russare, versando un filo di bava sul cuscino. David sorrise rivolto a se stesso, resistendo ancora una volta all’impulso di stringerlo a sé.

Siamo veramente qui.

David ricacciò a fondo i propri pensieri, mentre osservava Isaac. Non importava quanto detestasse se stesso per aver abbandonato Madre e le ragazze: era stato costretto ad andarsene. Non aveva dubbi: sarebbe andato all’inferno. Non essendosi unito alla chiesa, il paradiso era fuori dalla sua portata. Per non parlare dei suoi numerosissimi, altri peccati. Ma era l’unica strada che poteva prendere.

A lungo aveva tentato di essere un buon Amish. Ma quando era arrivato il momento di fare voto a Dio e unirsi alla chiesa, aveva affrontato la verità. In ginocchio, di fronte al Vescovo Yoder e a tutta Zebulon, David aveva detto l’unica cosa che poteva: no. Dire di sì avrebbe significato tradire non solo il suo cuore e il suo onore, ma anche Isaac.

E non avrebbe tradito il suo Isaac. Mentre lo guardava, ancora una volta represse l’impulso di tirarselo vicino e svegliarlo con un bacio, solo per poter vedere il suo sorriso. Dall’incidente, David gli aveva procurato soltanto sofferenze, quando invece Isaac si meritava solamente gioia.

Ancora prima che diventassero amanti, lavorare fianco a fianco ogni giorno aveva dato a David un nuovo senso di pace. Perfino nuovo amore per la falegnameria. Era stato Isaac a mostrargli cosa fossero la vera felicità e l’amicizia. Si sentì percorrere dall’euforia, all’idea che presto avrebbero di nuovo lavorato insieme. Non sapeva né come né dove, ma l’avrebbero fatto. Si sarebbero costruiti una vita con nuovi attrezzi, un pezzo dopo l’altro.

Allungando le braccia sopra la testa, David si chiese se Aaron fosse già sveglio. La casa sembrava immobile; quindi, pensò di no. L’autobus non era arrivato prima dell’una e trenta del mattino, ma Aaron era comunque andato a prenderli alla stazione. Isaac e suo fratello si erano abbracciati a lungo, accanto all’auto, sotto la pioggia fredda.

La città era sembrata spettrale, in quelle prime ore del mattino, quasi vuota, ad eccezione delle luci che punteggiavano il vetro e l’asfalto. David aveva preso posto sui sedili posteriori dell’auto e aveva allungato il collo per vedere le lunghe ombre degli edifici che incombevano oltre la nebbia. Era riuscito a malapena a credere che quel posto fosse reale. Era completamente diverso dalle cittadine del Minnesota settentrionale.

Non avevano parlato molto durante il tragitto verso casa di Aaron – una villetta, come l’aveva definita lui – in una zona della città chiamata Bernal Heights. C’erano tantissime cose da dire, e David aveva immaginato che non sapessero da dove cominciare. Era ancora difficile pensare che Aaron li stesse accogliendo a braccia aperte, pur conoscendo la verità sul loro peccato.

Man mano che la camera degli ospiti si faceva lentamente più chiara, David si chiese come sarebbe stato rivedere suo fratello. Per un attimo, immaginò che Joshua gli fosse stato semplicemente portato via dal mondo esterno, come Aaron. Poteva ancora sentire le ultime parole che gli aveva detto quella notte, quando si era arrampicato fuori dalla finestra della loro camera da letto, con una strizzatina d’occhio e un sorriso:

«Non aspettarmi alzato.»

David gli aveva dato retta, e si era ripetuto che non avrebbe fatto alcuna differenza; che anche se fosse sgattaiolato nella camera di Madre e Padre per sussurrare loro la verità, Joshua e quelle povere ragazze sarebbero morti in ogni caso, rapiti dalla corrente del fiume Ragman. Si ripeté che non aveva tradito suo fratello con la sua lealtà malriposta e la sua codardia.

Gli sarebbe piaciuto avere una fotografia di Joshua per poterlo ricordare. Erano passati più di sette anni e, nella mente di David, il sorriso tagliente di Joshua andava sfumando. Anche il ricordo di sua madre e delle sue sorelle sarebbe svanito?

Dopo un’altra lunga occhiata ad Isaac, David percorse in punta di piedi il levigato pavimento di legno fino ai grandi specchi, rivolgendo un’altra lunga occhiata ad Isaac. Non si radeva da giorni e si passò una mano sulle guance ruvide. Immaginò che avrebbe potuto farsi crescere la barba, se avesse voluto. Dei baffi, perfino. Nessuna barba Amish appesa alla parte inferiore del mento, ora che aveva rifiutato il battesimo. Oppure avrebbe potuto semplicemente radersi ogni giorno, come aveva sempre fatto.

La scelta era sua; David sorrise debolmente a quell’idea. L’ultima volta che si era guardato in uno specchio – sporco, con una crepa irregolare all’angolo – nel bagno della stazione degli autobus a Reno, aveva gli occhi azzurro chiaro cerchiati di rosso. Sbatté le palpebre in direzione del proprio riflesso. Era pallido e aveva i capelli castano scuro tutti ritti perché, quando era andato a dormire, li aveva ancora umidi. Li appiattì inutilmente. Gli arrivavano alle orecchie, secondo lo stile Amish, ma adesso era libero di tagliarli corti quanto voleva. Forse, sarebbe potuto andare da un barbiere vero.

Percorse l’immagine del proprio corpo con gli occhi. Anche se aveva visto il proprio viso molte volte nello specchio del bagno a casa di June, non si era mai guardato senza vestiti addosso. Passarsi un dito sul petto e sulla peluria scura e rada intorno ai capezzoli arrossati gli provocò uno strano, piccolo brivido.

Altra peluria gli percorreva il ventre fino all’uccello, che era quasi del tutto duro, come sempre, quando David si svegliava. Abbassò un po’ il prepuzio per guardarsi la punta, e un brivido gli attraversò la spina dorsale. Dopo essersi massaggiato alcune volte, continuò la sua esplorazione.

Aveva altri peli disseminati sulle cosce e, quando diede la schiena allo specchio e lanciò un’occhiata oltre la spalla, si compiacque nel vedere che il suo didietro era tondo e sodo e che, nel complesso, aveva un fisico muscoloso e snello. Rimirare il proprio corpo era peccaminoso e da presuntuosi e andava severamente contro le regole Amish, come era ovvio. Ma non c’era nessuno a fermarlo o a rimproverarlo, lì. Né sugli specchi né sull’orgoglio, su niente.

Adesso che poteva fare qualunque cosa, David non sapeva cosa fare per prima. Guardò di nuovo Isaac nel riflesso e sorrise, quando il ragazzo schioccò le labbra e si sdraiò sulla schiena. Ogni volta che David si era svegliato sull’autobus, aveva trovato Isaac a scrutare fuori dal finestrino, con la fronte contro il vetro. Avrebbe desiderato poter prendere uno degli adorati treni di Isaac per andare in California, ma con l’autobus era stato più semplice.

Aveva memorizzato i nomi di tutti i posti che avevano attraversato durante il loro viaggio: Fargo, Bismarck, Miles City, Butte, Rexburg, Idaho Falls, Salt Lake City, Battle Mountain, Sacramento e almeno un’altra dozzina di cittadine e avamposti. Voleva tornare indietro e visitarli tutti, un giorno. Voleva vedere tutto.

«Va’ a vedere il mondo.»

David si sentì stringere il petto al ricordo di June che li accompagnava in auto fino a Grand Forks, quella notte. Non aveva fatto domande, ma gli aveva rivolto un sorriso raggiante, sostenendolo senza giudicarlo, come aveva fatto sin da quando si erano conosciuti. Aveva sempre ringraziato Dio che qualcosa di buono fosse venuto da quel giorno terribile.

Correre attraverso il campo per raggiungere Padre tra le sferzate degli steli di mais. Stringere Kaffi fra le cosce, galoppare fragorosamente in mezzo agli alberi, diretto verso casa di June. Percepire sotto di sé il legno del portico cotto dal sole, mentre si sforza di respirare; sentire la voce calma della donna mentre parla col 911, avvertire la sua mano salda sulla spalla.

Adesso non era certo di come, nel corso delle successive visite a June, fosse passato dal sorseggiare limonata ad allestire un laboratorio là, e a prendere in prestito il pick-up della donna per avere un assaggio del mondo Inglese. Aveva soffocato la sua curiosità per anni, soprattutto dopo quello che era successo a Joshua. Ma poco a poco, man mano che andava a trovare June, qualcosa dentro di lui si era allentato. La donna non gli aveva mai fatto pressioni, né lo aveva giudicato.

E adesso eccolo lì, a più miglia di distanza da casa di quante ne avesse mai sognate. Nello specchio, scrutò la valigia viola di June sul pavimento. Aveva tenuto un piccolo assortimento di abiti Inglesi nel laboratorio segreto alla fattoria della donna e, prima di partire, si erano cambiati lì.

Avevano abbandonato i cappelli in chiesa, quando erano scappati, ma dentro la valigia c’erano i loro abiti Amish. Abiti fatti dalle loro madri. Vestiti che non avrebbero mai più indossato, a meno che non fossero tornati indietro. David si osservò, nudo e libero. No. Non sarebbero mai potuti tornare indietro.

Quando il bus della Greyhound si era fermato, nell’aspro vento di gennaio, June lo aveva stretto a sé e gli aveva detto che gli voleva bene. Non aveva mai sentito i suoi genitori dire a lui o a una delle sue sorelle una cosa del genere, in tutti quegli anni. Semplicemente, non era loro abitudine parlare di certe cose. Sapeva che Madre gli voleva bene, ma sentirselo dire da June lo aveva riscaldato dentro, nonostante la neve che gli cadeva negli occhi.

Sbatté le palpebre, rivolto al proprio riflesso. Si aspettava ancora di ritrovarsi da solo, nel proprio letto a Zebulon, mentre al piano di sotto sua madre e le sue sorelle mormoravano, accendendo le lanterne. Erano due ore avanti, in Minnesota; a quell’ora, David sarebbe stato nel fienile al tavolo da lavoro e, di lì a poco, una delle ragazze sarebbe andata a portargli uno spuntino: pane alle mele o biscotti di pasta di zucchero.

Il vecchio Eli Helmuth sarebbe andato ad aiutarle col lavoro da uomini? Avrebbe sposato Madre e si sarebbe preso cura delle ragazze? Avrebbero avuto abbastanza denaro? Avrebbero avuto tutto ciò di cui avevano bisogno? David avrebbe dovuto chiedere ad Aaron carta e penna per scrivere loro una lettera. Anche se, ogni volta che pensava a cosa dire, sentiva la mente svuotarsi.

Sentì un rumore attutito vagamente familiare e, qualche istante dopo, si rese conto che era l’acqua che scorreva nei tubi. Al di là della porta, vicino all’armadio specchiato, c’era il bagno. Nella vasca c’era un soffione da doccia argentato, che si poteva tenere in mano e spostare, mentre l’acqua scorreva senza fine, come una cascata. Niente più acqua piovana da riscaldare nel fienile, niente più brancolare nell’oscurità per raggiungere il gabinetto esterno.

David ascoltò il suono distante dell’acqua corrente, sorridendo, e ripensò alle mattine a Red Hills, quando Joshua era giovane e felice. Quando il rumspringa era solo un’idea lontana, e la sua famiglia integra.

Essendo gli unici due maschi, lui e Joshua avevano dormito in angusti lettini nella stanza più piccola. I tubi nella parete passavano accanto alla testa di David e, ogni mattina, ancor prima del canto del gallo, lui si svegliava al rumore dell’acqua corrente, mentre i suoi genitori iniziavano la giornata. Joshua se ne restava rintanato sotto la trapunta il più a lungo possibile; sarebbe stato capace di dormire anche se una mandria di mucche avesse abbattuto il loro recinto e si fosse allontanata al galoppo.

David aveva sentito per mesi la mancanza del rumore dell’acqua al mattino, dopo essersi trasferiti a Zebulon; il loro era diventato un mondo di gabinetti esterni e di secchi trascinati fino alla vasca da bagno in cucina. Alla fine, aveva smesso di pensarci. Come per qualsiasi altra cosa, col tempo veniva dimenticata.

Qualche istante dopo, sentì le scale cigolare e un rumore di passi; David si infilò dei jeans e una maglietta. Avrebbe fatto meglio a cominciare a indossare biancheria intima, se doveva portare dei pantaloni con la lampo tutti i giorni.

Dopo un’altra lunga occhiata ad Isaac, si chiuse alle spalle la porta della camera da letto senza far rumore e si soffermò sul pianerottolo. Sentiva qualcuno di sotto in cucina, il profumo di caffè fresco già si spandeva nell’aria. Al piano superiore, dove dormivano Aaron e sua moglie, tutto taceva. Jen aveva fatto il turno di notte all’ospedale e David non era sicuro che fosse tornata a casa.

Fece un passo e poi si fermò con un sussulto. Non ho detto le preghiere. Le preghiere mattutine erano un elemento automatico della sua quotidianità a Zebulon: scivolare in ginocchio accanto al letto, subito dopo aver aperto gli occhi. Se ne restò impalato in cima alle scale, non sapendo quale direzione prendere.

Dio lo avrebbe ascoltato, ora che aveva voltato le spalle alla chiesa? Al Signore stesso? Come se non bastasse, si era appena risvegliato a fianco del suo amante. Anche se sapeva che avrebbe dovuto implorare il perdono per i loro peccati, David non ci riusciva. Non si sarebbe mai davvero pentito con tutto il cuore, e avrebbe peccato di nuovo – felicemente – prima della fine della giornata. Quindi, a che sarebbe servito?

Eppure, gli sembrava sbagliato non pregare per niente. Dopo essersi guardato intorno, David si lasciò rapidamente cadere in ginocchio sul pianerottolo. Chiuse gli occhi e pregò perché il Signore lo guidasse, per la salute di Madre e delle ragazze, di Isaac e della sua famiglia. Si augurò che, almeno per quelle cose, Dio gli desse ascolto.

David fece attenzione a non fare rumore per le scale; il legno era levigato sotto ai suoi piedi scalzi. Sebbene la giornata fosse grigia e umida, il sole era già alto. Sbirciò attraverso la lunga finestra accanto alla porta, ma vide soltanto nebbia: dei gradini conducevano giù in strada, e notò le luci rosse posteriori di un’auto brillare nella bruma.

Tutto il piano terra dell’edificio lungo e stretto aveva lo stesso parquet pallido; anche il mobilio era chiaro, con cuscini verdi e viola sparsi qua e là. Una parte del salotto era costituita da lunghe finestre e sulla parete attigua era stato montato un enorme televisore.

Quasi tutta la stanza era dominata da un sontuoso divano a C – componibile, David pensava si dicesse così – color beige chiaro. C’erano dei poggiapiedi abbinati, che sapeva chiamarsi ottomane. Poi, lo spazio confluiva nella sala da pranzo. David fece scorrere le dita sull’ampio tavolo fatto di quello che gli Inglesi chiamavano legno riciclato. Pino, forse?

«È in stile rustico.»

David sobbalzò, si voltò e vide Aaron sull’altro lato della penisola bianca, che separava la sala da pranzo dalla cucina. Fece un sorriso nervoso, avvertendo un tuffo al cuore. «Mi piace.»

Sapeva che Aaron aveva detto ad Isaac che non gli importava che lui fosse gay, e che David era il benvenuto. Ma era ancora difficile da credere. Davvero per Aaron non era un problema che David peccasse con suo fratello? Mentre cercava disperatamente di pensare a qualcos’altro da dire, desiderò di avere svegliato Isaac, dopotutto.

«Grazie. Volevamo mischiare un po’ lo stile moderno. Credo che potresti costruirne uno così senza problemi.» Sollevò la tazza. «Caffè?»

«Sì. Grazie.» David si unì a lui nella cucina, studiando gli elettrodomestici di acciaio inossidabile e i lucidi stipetti bianchi. Delle piastrelle color verde acqua ricoprivano la parete accanto all’ampio lavello, sotto a una finestra da cui si potevano vedere uno stretto giardino, una pedana di legno con un tavolo rotondo e quattro sedie impilate una sopra l’altra. David toccò le piastrelle con esitazione. Vetro, pensò.

Aaron ridacchiò, versando il caffè. «Questa dev’essere la cucina più pretenziosa che tu abbia mai visto, giusto?»

«Sì,» rispose David. «Ma mi piace.» Accettò la tazza da Aaron, cercando di non fissarlo. Si era fatto troppo tardi la notte precedente, e buio, e lui era stato troppo stanco per prestargli attenzione. Ma adesso poteva esaminare l’uomo alla luce del giorno.

David aveva un ricordo vago di lui, tanti anni prima a Red Hills, e non lo avrebbe riconosciuto, se non fosse stato per quello scintillio nel sorriso che gli ricordava tanto Isaac. Aaron era biondo e più alto di quanto ricordasse, probabilmente un metro e novanta; era un po’ più grosso di David e aveva un aspetto così… Inglese. Indossava dei pantaloni grigi, una camicia formale e una cravatta rosa che si intonava ai minuscoli scacchi sui suoi calzini. La fibbia della cintura brillava intorno alla sua vita sottile.

David doveva dire qualcosa: «Ehm, come hai fatto a preparare il caffè tanto in fretta?»

«Col timer. Ecco, ti faccio vedere.» Aaron indicò un apparecchio sul bancone con un cenno del capo, e vi collocò dentro la brocca di vetro in un apposito alloggiamento. «Vedi questi pulsanti? Puoi impostarla perché inizi a prepararlo all’ora che ti pare. È fantastico svegliarsi e trovarlo pronto.»

«Sono abituato al fatto che Madre si alzi presto per prepararlo, immagino. Non so fare niente in cucina. Ho visto qualche cosa nei film, ma…»

Aaron fece un sorriso comprensivo. «Già, c’è un bel po’ da imparare. Ma ci farai la mano. Oh, vuoi provarlo col latte o lo zucchero? Io continuo a prenderlo nero e basta.»

«No… va bene così.» David ne bevve un sorso e sospirò, mandando giù il liquido amaro. Era colpito da quanto Aaron adesso apparisse vivace e felice. Dopo essersi unito alla chiesa, era diventato così serio. David sentì la voce di Joshua riecheggiargli nella mente: «Se finisco per diventare tetro come Aaron Byler, mettimi sotto con l’aratro.» Quanto aveva riso Joshua dell’espressione scandalizzata di David!

«Pensavo che avreste dormito quasi tutta la mattina, dopo quel viaggio. Devo andare a lavorare fino all’ora di pranzo, ma ho un supplente per le lezioni del pomeriggio e per domani.»

«Non so perché mi sono svegliato, ma Isaac sta ancora dormendo.» Ingurgitò il suo caffè. Aaron lo sa che c’è un letto solo, lì.

Ma Aaron proseguì come se niente fosse. «Hai fame? Prendi pure tutto quello che vuoi.» Aprì una scatola di legno sul bancone. «Ci sono dei bagel e del pane, qui dentro, e c’è un tostapane. Sai come si usa? La spina è già inserita. Quindi, devi soltanto infilare il pane nelle fessure e spingere giù questa manopola.» Mimò il gesto.

«Sembra abbastanza semplice. Me ne intendo un po’, credo. Usavo un frigorifero a casa della mia amica June.»

«Le ho parlato la notte scorsa, dopo che vi ha accompagnato alla stazione degli autobus. Sono davvero felice che vi abbia aiutati. Potete telefonarle, se volete. Le ho mandato una email questa mattina per farle sapere che siete arrivati tutti interi.»

Per qualche motivo, David esitò. Sarebbe stato splendido sentire la voce di June, ma l’idea di parlare con qualcuno che abitava nei pressi di Zebulon gli faceva aumentare il battito cardiaco. «Lo farò presto. Voglio solo sistemarmi, prima.»

«Prenditi tutto il tempo che ti serve. Credimi, so che è un cambiamento difficile.» Aaron sorseggiò il caffè. «Allora, ti piacciono i film?»

«Ah-ha. C’è un drive-in vicino a Zebulon, ogni tanto ci andavo. Ci ho portato Isaac, una volta.» David fece scorrere la mano sul bancone di pietra lucida; sentiva le orecchie in fiamme, mentre ricordava come era andata a finire quella notte.

Isaac era sotto di lui sul terreno. David si adattava alla perfezione allo spazio tra le sue gambe, come se fosse stato fatto apposta per quello. I baci generosi e umidi di Isaac gli bruciavano la pelle, le sue dita gli tiravano i capelli e i suoi sussurri erano roventi.

«Sì.»

Aaron sorrise. «Ti farò vedere come si usa Netflix; così potrai guardare tutti film che vuoi. Se hai delle domande su qualcosa, chiedi pure. So che può essere spiazzante, all’inizio.» Lanciò uno sguardo all’orologio sopra il microonde. «Jen è casa da un po’. Dormirà fino a questo pomeriggio, ma non preoccuparti del rumore. È questo il bello di avere una villetta. Oltretutto, sarebbe capace di dormire anche con una guerra nucleare in corso, lo giuro. I dottori sono talmente abituati a restare svegli durante l’internato che, appena possono, crollano come bambini.»

«Okay. Grazie.» Non sapeva cosa fosse un internato, e non poté fare a meno di meravigliarsi un po’ che la moglie di Aaron fosse un vero dottore. Non soltanto lavorava, lo faceva anche a qualsiasi ora del giorno e della notte. Si domandò se la cosa infastidisse Aaron, ma immaginò di no. Tentò di immaginare Madre o le sue sorelle lavorare fuori casa, ma non ci riuscì.

«Isaac dorme ancora?»

David fissò la propria tazza con le guance in fiamme: «Ah-ha. Non ha riposato molto, mentre venivamo qui.»

«Non devi sentirti in imbarazzo. Il fatto che tu e Isaac dormiate insieme non mi dà affatto fastidio. Nemmeno a Jen. Giuro.»

David osò lanciare uno sguardo al viso di Aaron. «Ma com’è possibile che non ti dia fastidio? So che Isaac è tuo fratello, ma tu mi conosci appena e lui e io siamo… ed è…»

«Cosa?» Aaron poggiò un fianco alla penisola, la sua voce era calma. «Cos’è?»

David tentò invano di pensare alla parola giusta, ma tutto quello che riuscì a trovare fu: «Sbagliato.»

«Ti sembra sbagliato?» Aaron sorseggiò un po’ di caffè, come se avesse appena fatto una domanda sul tempo.

«No.» David fissò la punta dei propri piedi nudi sul pavimento di legno chiaro, col cuore che gli martellava nel petto. «So che è un peccato, ma non posso farci niente.»

«Non penso affatto che sia un peccato.» Aaron emise una risata tagliente. «E penso che la Bibbia sia un’assurdità usata per tenere la gente sotto controllo.»

David sbatté le palpebre, aprì la bocca e la richiuse di nuovo, quasi aspettandosi che un fulmine si abbattesse su di loro, proprio lì in cucina. Assurdità?

«Scusami… non volevo turbarti.» Aaron gli rivolse un sorriso malinconico. «So che tu e Isaac siete credenti, e va assolutamente bene. Anche Jen crede in Dio. Quindi, non lasciare che ti metta a disagio.»

David cercò di trovare le parole: «Che cosa vuoi dire?»

«Non credo in Dio. Da piccolo sì, naturalmente. Non ho mai pensato di poter scegliere di non credere.»

«Io…» David aprì la bocca e la richiuse, come un pesce. «Come puoi non credere in Dio?»

«Non ci credo e basta,» disse Aaron, come se non fosse niente di particolare. «È stato un processo. Dopo aver lasciato Red Hills, ho frequentato altre chiese qua e là. Ho letto molto e fatto un sacco di introspezione, suppongo. Alla fine, ho capito che la religione per me non ha senso. L’idea che esista un essere onnisciente lassù, che controlla le nostre vite e le giudica? Non ci credo.»

«Ma…» David si sentiva girare la testa. «Immagino di non averci mai pensato. Ho riflettuto sulla chiesa Amish, e sulle cose che non hanno senso. Ma pensare che Dio non esista affatto…» Rabbrividì, stringendo tra le mani la tazza di ceramica. Era impossibile. Anche se sapeva che sarebbe andato all’inferno, l’idea che in effetti Dio potesse non esistere gli sembrava del tutto sbagliata.

«Ehi, è tutto okay.» Aaron strinse la spalla di David. «Tutti noi dobbiamo fare un viaggio verso la fede, o la mancanza di essa. Non sto cercando di convincerti. È una cosa personale, e tu e Isaac avete tutto il tempo di esplorare il vostro credo.» Fece una smorfia. «Parlo come uno di quei libri sull’autostima. Scusami. E questa conversazione è troppo pesante da sostenere, dopo una tazza di caffè soltanto e il viaggio in autobus che avete affrontato.»

«Non importa.» David si sforzò di ricominciare a respirare. «Immagino di non avere mai conosciuto qualcuno che non crede.» Non poteva fare a meno di sentirsi triste per la mancanza di fede di Aaron.

«Possiamo discuterne più tardi. Oppure no, nessuna pressione.» Aaron si versò un altro po’ di caffè nella tazza ed emise un lungo sospiro. «E non volevo affrontare l’argomento fino a che non vi foste riposati, ma puoi raccontarmi cos’è successo? Isaac aveva detto che non avresti lasciato Zebulon, ma chiaramente qualcosa è cambiato.»

David tratteggiò con un dito il bordo della propria tazza. «Avevo paura. Sapevo di dover restare e prendermi cura della mia famiglia. Sarebbe stato da egoisti andarsene, ma quando è arrivato il momento, non ce l’ho fatta. Non potevo vivere senza Isaac. E anche se lui non mi avesse più voluto, non avrei potuto sposare una poveretta per la quale non sarei mai stato un vero marito.»

Mentre immaginava cosa ne pensasse la gentile e silenziosa Grace della sua fuga verso il mondo esterno, David si sentì l’acido ribollire nello stomaco. L’aveva accompagnata a casa, dopo le canzoni, soltanto due volte; non facevano coppia fissa nemmeno per gli standard degli Amish, e non erano mai stati neanche lontanamente prossimi al matrimonio. Ma David era sempre piaciuto a Grace e lui se n’era approfittato.

Non avrei mai dovuto illuderla. Dentro di sé, aveva saputo che si stava prendendo in giro. Si era convinto che, una volta che avesse fatto voto a Dio e alla sua comunità, in un modo o nell’altro tutto sarebbe andato a posto, come in un numero di magia Inglese. Se fosse andato fino in fondo, avrebbe soltanto reso infelici entrambi.

«Non è da egoisti, David. Non avresti fatto un favore a nessuno, a lungo andare. Fidati. Ho pensato di poterlo fare anch’io. Se una vita di devozione non è quello che desideri in fondo al tuo cuore, tutte le preghiere di questo mondo non possono cambiare la realtà.» Aaron fece un debole sorriso. «Ho pensato che, se avessi cambiato idea e mi fossi unito alla chiesa, Dio mi avrebbe aiutato ad adattarmi. Che Lui mi avrebbe dato la pace. Non funziona così.»

«Ti sei mai pentito di essertene andato?»

Aaron sospirò: «Solo perché ha significato essere rinnegato dalla mia famiglia. Non ti mentirò: è difficile. Mi ero unito alla chiesa prima di andarmene, per questo sono stato bandito. Se saltasse fuori che mia sorella Abigail a Red Hills mi scrive ancora, per lei sarebbero guai seri. Abigail lo tiene nascosto a suo marito. C’è anche nostra sorella Hanna, laggiù, ma lei non infrangerebbe mai le regole.»

«Mia sorella Emma è ancora là. Dovrei scriverle. Anche se c’è così tanta differenza di età tra noi, che è praticamente un’estranea.»

«È la maggiore?»

David annuì. «Dopo di lei, penso ci sia stato un bambino che non ce l’ha fatta. Non ne sono sicuro, ma ci sono voluti quasi cinque anni prima che arrivasse Joshua. Non funziona così, di solito. Ma non ho mai fatto domande. Emma ha una mezza dozzina di figli suoi, adesso.»

«Mi piacerebbe incontrare i figli di Abigail. Grazie alle sue lettere, mi sembra un po’ di conoscerli.» Aaron deglutì a fatica. «Ho odiato dover abbandonare i miei fratelli e le mie sorelle. Soprattutto Isaac. Era sempre… eravamo legati. Non sai cosa significhi per me rivederlo. Quando ha telefonato, non riuscivo a credere che stessi sentendo la sua voce. È davvero cresciuto, adesso.»

«Non sono mai stato tanto lontano da mia madre e le mie sorelle. Mi piacerebbe che ci fosse un modo per poter parlare con loro.»

«Non puoi venire scomunicato, se non ti sei unito alla chiesa. Se nessuno sa che sei gay, scrivere delle lettere alla tua famiglia non dovrebbe essere un problema. Nemmeno andarle a trovare, se te lo permetteranno. Ovviamente, lo sai che cercheranno di farti sentire in colpa per convincerti a tornare indietro. Tua madre ti dirà che l’unica strada per il paradiso è essere Amish. Se le scrivi, probabilmente questo è tutto quello che otterrai: suppliche perché tu ritorni a casa.»

«Mia sorella Anna però mi scriverebbe. So che lo farebbe. Mary…» Fece una smorfia.

«Che c’è?»

«Anche se Mary non sa tutta la verità, non credo che mi perdonerà per averle portato via Isaac. È sempre stata innamorata di lui.» Si passò una mano sul viso. «Sono un fratello terribile.»

«Ma tu lo ami, non è vero?»

Ancora una volta, non c’era alcuna disapprovazione nello sguardo di Aaron. Era stranissimo parlargli dei suoi sentimenti con tanta semplicità. Ma David disse: «Più di ogni altra cosa.»

Aaron sorrise. «È l’unica cosa che conta, allora. Gay o etero, l’amore è sempre lo stesso. Etero significa uomini e donne insieme. Ci sono tantissime parole strane, qui… è stato un po’ come imparare l’inglese un’altra volta.» Assunse un’espressione distante. «Mi veniva talmente facile passare dal tedesco all’inglese e viceversa. Adesso, il mio tedesco è molto arrugginito. Mi chiedo che parola userebbero invece di “gay”. Non che gli Amish parlerebbero mai di queste cose.»

David scosse la testa. «Lo dici a voce alta e con tanta facilità. Quando sono da solo ci riesco, oppure in compagnia di Isaac. Quando riesco a dimenticare che è un peccato. Ma tu ti comporti come se non fosse niente di particolare. E penso che la parola che userebbero è abominio.» Barbaro. Impuro. Mentitore.

Aaron fece una smorfia. «Senza dubbio. Ma non è un abominio. Sei nato così. Non c’è niente di sbagliato nell’essere gay. So che tu e Isaac probabilmente ancora non ci credete, ma lo farete. E ci sono anche un sacco di Cristiani che non lo considerano peccato.»

Per un istante, tutto quello che David riuscì a fare fu fissare l’altro uomo. «Cristiani? Ma… come?»

«La Bibbia si può interpretare in moltissimi modi. Esistono credenti che non sono omofobi.»

David contemplò quella parola. Omofobi. «Davvero non ti infastidisce? Che siamo…» Agitò la mano.

Aaron ridacchiò. «Neanche un po’. Sono felice che siate qui, David. Non dovete nascondere i vostri sentimenti adesso. Non dovete nascondere chi siete.»

David mandò giù il caffè, temendo che altrimenti si sarebbe messo a piangere. Fece un respiro profondo. «Non so che cosa dire. Ho dei soldi da parte, ma devo assicurarmi che la maggior parte vada a mia Madre. Tutto il resto lo darò a te e…»

«No. Non finché tu e Isaac non vi sarete sistemati e non avrete pensato a quello che volete fare. Non c’è fretta. Jen e io siamo d’accordo.» Aaron sorrise dolcemente. «Ho sempre sperato che uno dei ragazzi mi trovasse. Però pensavo che sarebbe stato Ephraim. Isaac ha sempre seguito le regole in modo tanto tranquillo e diligente.»

«Finché non ha incontrato me. Non voglio darvi disturbo.»

«Mi sono assicurato che ci fossero un paio di stanze in più, quando abbiamo comprato questa casa, per sicurezza. Vogliamo avere dei bambini, un giorno. Ma anche se non dovessi mai più rivedere i miei fratelli e le mie sorelle, voglio comunque che abbiano un posto qui. Siamo felici che siate qui, okay? Per favore, non preoccuparti dei soldi, adesso. Jen e io ne abbiamo a sufficienza. I suoi genitori ci hanno praticamente pagato tutto il mutuo come regalo di matrimonio.»

«Caspita.»

Aaron rise di cuore. «Jen dice che erano così felici che finalmente si sposasse che, forse avrebbero pagato anche me.»

David sorrise. «Sembra simpatica.»

«È la migliore.» Aaron svuotò la tazza. «Okay, devo scappare. Ci vediamo presto. Nel frattempo, fa’ come se fossi a casa tua.»

Non sapendo che altro fare, David accompagnò Aaron alla porta d’ingresso. Lo guardò indossare le scarpe di pelle lucida e tirare su la lampo della giacca. Lo salutò con la mano e rimase alla finestra a guardarlo, mentre faceva retromarcia nel vialetto e si immetteva sulla strada ripida, prima di schizzare via nella nebbia persistente.

La casa era di nuovo silenziosa. David immaginò Isaac di sopra, ancora profondamente addormentato e sereno. Si ripeté più volte quella parola nella mente, come se fosse del tutto nuova.

Casa.

Copyright © Keira Andrews and Chiara Fazzi (translator)

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