La Strada Verso Casa: Capitolo Uno

 

«Sto bene?»

Isaac lanciò un’occhiata ad Aaron e, così facendo, calpestò un cumulo di fanghiglia, che gli inzuppò completamente la scarpa da ginnastica. Era fine aprile, ma le vestigia dell’inverno stringevano ancora il Minnesota settentrionale e il parcheggio dell’ospedale era punteggiato da banchi di neve in disfacimento. Aaron si fermò e si lisciò la giacca con la mano – era un bell’impermeabile, color vino rosso e munito di bottoni – ma entrambi i fratelli sapevano che non aveva importanza.

Ciononostante, Isaac annuì: «Stai benissimo.»

Aaron cercò di sorridere. «Grazie.» Spinse via una ciocca di capelli biondi, che gli era scivolata sulla fronte, e premette un pulsante per bloccare le portiere della berlina noleggiata all’aeroporto.

La verità era che Aaron avrebbe anche potuto indossare il suo abito migliore, ma l’unico modo in cui avrebbe potuto compiacere i loro genitori sarebbe stato rimettere i vestiti da Amish: indumenti che seguivano le regole dell’Ordnung fin nei minimi particolari. Nemmeno Isaac indossava abiti Amish, e il ragazzo realizzò che quella sarebbe stata la prima volta in cui i suoi genitori lo avrebbero visto con indosso dei jeans e una felpa Inglesi. Indossava un impermeabile verde, di tessuto leggero, e rabbrividì, rimpiangendo di non aver portato i guanti.

Forse, dopo tutto, avrebbe dovuto cambiarsi e mettere gli indumenti Amish. A Madre e Padre non sarebbe piaciuto per niente vederlo così. Ma Isaac aveva voluto… che cosa? Affermare qualcosa, immaginò. Ma cosa stava dicendo, veramente? Era una cosa coraggiosa sputare in faccia ai propri genitori e voltare le spalle alle proprie origini? Oppure era crudele?

Il ragazzo si tirò giù le maniche e sfregò la punta gommata della scarpa sull’asfalto bagnato. Era occorso più tempo di quanto si fosse aspettato per andare, in auto, da Minneapolis alla fattoria di June, vicino a Zebulon; presto si sarebbe fatto buio. Se, in quel momento, avesse chiesto ad Aaron di riportarlo da June per cambiarsi, probabilmente al loro ritorno le infermiere non gli avrebbero permesso di vedere Nathan.

Se ne rimasero vicini all’auto, intorbidando l’aria umida e invernale col loro fiato, a fissare il blocco di cemento grigio e beige che era l’ospedale. Le porte di vetro del pronto soccorso si spalancarono e ne uscì un’infermiera in camice blu. Mentre si allontanava dall’ingresso, la donna si accese una sigaretta e raggiunse un uomo su una sedia a rotelle, sulla cui testa torreggiava una sacca di plastica appesa a un palo di metallo. L’infermiera soffiò una nuvola di fumo e si massaggiò le braccia.

«Credo che dovremmo entrare.» Aaron fissò le porte con le spalle ingobbite.

«Già.»

Nessuno di loro si mosse. Dopo la telefonata dell’infermiera, si erano precipitati in Minnesota. Madre e Padre si rifiutavano di parlare al telefono, e lei non poteva raccontare più di tanto. Nathan aveva il cancro. Probabilmente aveva bisogno di una sorta di trapianto. Potevano sottoporsi a degli esami?

In quell’istante, nel parcheggio melmoso dell’ospedale, sotto un cielo grigio antracite, Isaac si sentiva lontano proprio come fosse a San Francisco. Nathan aveva il cancro. Il terrore che suo fratello morisse prima che potesse rivederlo lo aveva condotto lì, come un cavallo incalzato da un cavaliere crudele. Non poter parlare né con Nathan, né con i suoi genitori, era stata una tortura.

Eppure, ora che erano lì, il ragazzo sentiva lo stomaco sottosopra. L’immagine del sangue che inzuppava la neve, bianca e fresca, gli riempì la mente e Isaac sentì riecheggiare la voce di David.

«Devo pentirmi, oppure mia madre morirà. Tutti quelli che amo pagheranno per i miei peccati. Devi starmi lontano.»

Isaac si sentì assalire dalle emozioni e deglutì a fatica. Insieme erano andati lontano ma, in un certo senso, non abbastanza. David non aveva risposto alle sue chiamate, né ai suoi messaggi a proposito di Nathan. Perché no? Il dolore di non avere David al suo fianco gli bruciava, sordo, nel petto. Desiderava stringere la mano dell’uomo e sentire la sua forza, solida e calda.

«David arriverà domani.»

Isaac batté le palpebre e si rivolse al fratello, il suo battito cardiaco accelerò all’improvviso. L’ho detto a voce alta? «Cosa?»

Aaron alzò il cellulare. «Jen lo sta accompagnando all’aeroporto. Il volo notturno era tutto prenotato, ma David arriverà a Minneapolis nel primo pomeriggio.»

L’ondata di dolce sollievo venne attenuata da oscuri tentacoli, fatti di delusione e dolore. Ad Isaac sarebbe piaciuto potersi strofinare il cervello, per cancellare l’immagine di David in quel posto. L’immagine di Clark che lo toccava. Che lo baciava. Che baciava il suo David! La mente di Isaac vorticava a vuoto. «Oh.»

Le sopracciglia di Aaron schizzarono verso l’alto. «Oh? Tutto qui? Okay, raccontami cos’è successo. So che non vuoi ma, prima che entriamo là dentro e affrontiamo… tutto, dobbiamo occuparci di questa cosa. Sputa il rospo. Perché avete litigato?»

Con un sospiro, Isaac si ficcò le mani nelle tasche dell’impermeabile. Arrossì in viso, non sapendo se fosse per via della rabbia o dell’imbarazzo. «Ha baciato qualcun altro,» borbottò. Detestava anche solo pronunciare quelle parole orrende.

«Cosa?» Aaron aprì e richiuse la bocca. «Sei serio? Certo che sei serio… dimentica quello che ho detto. Cos’è successo?»

Isaac fissò lo sguardo su una manciata di salgemma. «Li ho visti che si baciavano, in discoteca. David credeva che non ci fossi, ma io mi ero procurato un documento falso. Stavo per fargli una sorpresa.» Rise in modo cupo. «Non è andata come mi aspettavo.»

«Io… Accidenti. Davvero, non riesco a crederci. Non mi sembra affatto da David. Ti ama talmente tanto. Cioè, quando ti guarda, gli schizzano i cuoricini fuori dagli occhi, come nei cartoni animati.»

«Sul serio? Lo pensi davvero?» Isaac sbatté rapidamente le palpebre per respingere le lacrime imminenti e respirò con cautela. «Perché, allora? Immagino che Clark abbia qualcosa che io non ho,» borbottò.

«Clark?» il ragazzo annuì e Aaron strinse le labbra. «Non riesco a crederci. Lo ammazzerò. Li ammezzerò entrambi! Cosa ha detto David?»

«Ha detto che Clark lo ha baciato, proprio come ho visto io. Lui ha cercato di allontanarsi, ma Clark lo ha seguito. Li ho visti entrare in bagno insieme. David dice che non è successo niente.» Il ragazzo inspirò, reprimendo un’ondata di nausea. «Ma so quello che la gente fa lì dentro.»

L’uomo socchiuse gli occhi. «Aspetta… David ha detto che, in realtà, non è successo niente?»

«Voglio credergli, ma… non riesco a togliermelo dalla testa, loro due insieme. Mi fa sentire così arrabbiato e… disgustato. Mi dà il voltastomaco. Avrei dovuto immaginarlo. La prima sera che l’abbiamo incontrato, ho sentito Clark dire che si sarebbe portato David a letto.»

Con la mascella serrata, Aaron scosse la testa. «Be’, a questo riesco decisamente a credere. Adoro Clark, ma certe volte è davvero uno stronzo egoista. Ma David? Non lo so. Non mi ha mai dato l’impressione di essere un bugiardo, Isaac.»

«Ma abbiamo mentito alle nostre famiglie e a tutti quelli che conoscevamo, per mesi. Lo facciamo ancora.» Puntò un dito verso l’ospedale. «Sto per entrare là dentro e mentire. Perché, è già abbastanza brutto che me ne sia andato, tradendo Dio e la mia comunità ma, e se scoprono quello che sono veramente? Sarà finita per sempre. Niente visite. Niente lettere. Niente.»

Aaron sospirò. «Isaac, quand’è stata l’ultima volta che hai ricevuto una lettera? Ti permetteranno di tornare a far parte delle loro vite solo se ti penti delle tue condotte malvagie e mondane, torni a casa e ti unisci alla chiesa. Alla fine, non farà alcuna differenza che sappiano che tu sia gay oppure no. Sì, hai ragione… se lo scoprono, ti volteranno le spalle. Ora come ora, non sei un emarginato come me, ma non avrai mai un vero rapporto con loro. A meno che tu non torni indietro e faccia tutto quello che vogliono loro. Che rinunci a tutto quello che hai. A tutto quello che sei

Era vero, eppure Isaac scosse la testa. «Non posso dire loro la verità. Non possono saperla.»

«Non ti sto suggerendo di entrare là dentro, a passo di marcia, e fare coming out.» Il fratello lo prese gentilmente per la spalla. «Solo di pensare fin dove sei disposto a spingerti pur di mantenere vivo quel brandello di speranza. A quanto di te stesso sei disposto a rinunciare. E per che cosa? Forse una lettera o due all’anno, se sei fortunato?»

«È meglio di niente,» sussurrò il ragazzo.

Aaron fece un sorriso triste. «Forse. E sì, hai ragione. Tu e David avete mentito su quello che siete, e sulla vera natura della vostra relazione. Ma adesso non fargliene una colpa. Non è giusto. Senti cos’ha da dire. Ti ha mai mentito prima?»

«No. Non lo so. Non credo. Come faccio a saperlo?» Era quella la cosa che lo feriva di più, nel profondo, con i suoi bordi taglienti e rabbiosi: che, adesso, non era più sicuro di niente. David gli aveva mentito in passato? Il cuore gli diceva di no, ma forse si stava prendendo in giro?

«So che sei ferito e arrabbiato, e ne hai tutte le ragioni. Ma non prendere decisioni importanti in questo momento. Comunque vada a finire, tu hai il mio appoggio. Ma non rinunciare alla tua relazione con David senza prima avergli parlato. È una brava persona. Lo siete entrambi. Potete superare questa cosa. So che potete farcela.»

Il ragazzo annuì. Una parte di lui voleva raccontare ad Aaron che – a quanto pareva – David gli aveva mentito anche a proposto del bere, ma non gli uscirono le parole. Non sapeva proprio cosa pensare. Di tutto. Desiderava disperatamente credere che David non avesse mai voluto che accadesse nulla con Clark, ma non voleva fare il… qual era stata la parola che Chris aveva usato? Il fesso. Dentro di sé, Isaac sentiva che i suoi sentimenti continuavano a ribollire, come una grossa pentola di stufato. Che ben presto avrebbe traboccato.

Sentì il cellulare ronzare nella sua tasca. Col cuore in gola, lo tirò fuori e lesse le parole sul display.

Presto sarò lì. Ti amo.

Emise un sospiro tremante; sentì i bordi frastagliati del panico che provava smussarsi e il calore pervaderlo. Anche se era ferito, sapeva che David lo amava veramente. E se quello faceva di lui un fesso, pazienza. C’erano tantissime cose che voleva dirgli, ma avrebbero dovuto aspettare fino al momento in cui fossero stati insieme.

«Credo proprio che dovremmo entrare.» Aaron fece un lungo respiro. «È facile dare consigli a te, ma non è altrettanto facile seguirli. So che non dovrei illudermi. Forse non mi guarderanno nemmeno, figurati parlarmi. Dio, è passato talmente tanto. Sono quasi dieci anni. Difficile da credere, vero? Rivederli è… terrificante. Ma anche eccitante.»

Isaac gli strinse il braccio. «Sono qui. Lo faremo insieme.»

All’altra estremità del parcheggio, un grosso camion per le consegne passò oltre rombando, rivelando un cavallo e un calesse coperto legati a un palo della luce. Isaac riconobbe subito il vecchio Roye, sentì che il cuore gli mancava un battito. Pensò alla cara Silver, e sperò di rivederla presto. La vista del calesse lo colpì dritto al cuore: Madre e Padre erano davvero là dentro e anche Nathan. Anche il suo fratellino era nell’edificio, sdraiato in un letto, senza sapere se sarebbe morto o vissuto. E Isaac era lì a preoccuparsi di se stesso.

Senza scambiare un’altra parola, i due attraversarono il parcheggio in fretta e furia. Stavano praticamente correndo quando – con uno swoosh – le porte di vetro si aprirono, introducendoli a qualunque fosse la cosa che li attendeva dentro.

 

***

 

Sebbene fosse abituato all’elettricità, le luci al neon dell’ospedale continuavano a sembrargli troppo luminose. I pavimenti grigi erano sempre gli stessi e, mentre lui e Aaron prendevano l’ascensore fino al terzo piano e poi percorrevano un lungo corridoio, Isaac sentiva le sue scarpe da ginnastica squittire. Man mano che avanzavano, leggeva i numeri, col cuore che gli batteva sempre più forte. Una donna dall’aspetto familiare, con la pelle scura e un camice verde, uscì dalla stanza e scarabocchiò qualcosa su di un diagramma che poi infilò in una custodia di plastica, alla parete.

L’infermiera alzò lo sguardo e gli fece un sorriso luminoso. «Isaac? Sei tu?»

Il ragazzo riuscì a sorridere. «Sì. Ciao. Questo è mio fratello, Aaron.»

«Salve.» Danielle gli tese la mano e poi strinse il braccio del ragazzo. «Accidenti. Sei così diverso.»

«Immagino di sì.» Isaac si guardò intorno, a disagio. «Anche tu.» Fece un cenno della mano in direzione del suo ventre.

«Già.» La donna rise e si diede una pacca sulla pancia piatta. «Ho avuto una bambina, qualche mese fa. Più tardi ti annoierò con le foto.» Il suo sorriso svanì. «Sono felice che siate potuti venire entrambi.»

«Come sta?» Chiese Aaron.

«Tiene duro. Stanno facendo esami a tutti i familiari per vedere se qualcuno è compatibile, ma finora non abbiamo avuto fortuna. Se qualcuno potesse donargli il midollo osseo gli sarebbe di grande aiuto. Nathan dorme adesso, quindi temo che non possiate parlargli. Ha fatto delle altre analisi, ma sarà libero per il resto della notte, probabilmente. Andate a salutare i vostri genitori, poi vi preleveremo dei campioni da mandare ai laboratori Mayo per la tipizzazione HLA.»

Salutare. Danielle la faceva sembrare una cosa facile. Isaac non sapeva cosa significasse HLA, ma non si prese la briga di chiederlo. L’unica cosa che contava era che aiutasse Nathan a stare meglio. «Si sente bene?»

Lei fece una smorfia. «Non vi mentirò… soffre. Sta facendo un ciclo di chemio e radioterapia ad alto dosaggio. È dura.»

Il ragazzo non era del tutto sicuro di sapere cosa fossero quelle cose ma, prima che potesse fare domande, Madre comparve nel vano di una porta, verso la fine del corridoio, a circa cinque metri da loro. La donna si immobilizzò sul posto e li fissò, e Isaac represse un singhiozzo improvviso. Voleva correre da lei e lasciare che la donna lo abbracciasse, come aveva fatto in quello stesso ospedale dopo l’incidente della signora Lantz, quando era stata tanto preoccupata per lui. Lo era ancora? Continuava a volergli bene? Isaac sentì la gola farglisi secca e lanciò un’occhiata ad Aaron.

«Lascia che… posso parlare con loro, per un attimo?» chiese l’uomo. «Se avranno voglia di parlare con me, ovvio.»

Il ragazzo annuì e guardò l’altro percorrere il resto del corridoio. Era stranissimo vedere Aaron e Madre di nuovo nello stesso posto.

«Abiti con tuo fratello?» sorrise gentilmente Danielle.

«Sì. A San Francisco. Lui se n’è andato anni fa.»

«Com’è stato il viaggio? Era la prima volta che volavi?»

Annuì, gli occhi incollati su Madre, desiderando che guardasse di nuovo nella sua direzione. «Volare è stato… strano. Un po’ spaventoso, ma c’era Aaron con me.» Era difficile credere che, il giorno prima, si fosse trovato in California e che, in quel momento, fosse di nuovo in Minnesota. Aveva seguito Aaron all’aeroporto e fatto tutto quello che suo fratello gli aveva detto di fare. Gli sarebbe piaciuto potersi godere l’esperienza, ma si era soltanto sentito intorpidito. Forse, se ci fosse stato David… Ma adesso, almeno, era in viaggio. Che cosa ci diremo? È tutto distrutto? Che cosa potrei fare senza di lui?

«Tutto okay?» Danielle lo prese per una spalla. «Hai la faccia di uno che sta per vomitare.» Gli appoggiò il dorso della mano sulla fronte.

«Sto bene.» Inghiottì rumorosamente l’aria e osservò Aaron e Madre fronteggiarsi.

«Come funziona?» L’infermiera seguì la direzione del suo sguardo e aggrottò le sopracciglia. «Ho sentito parlare della messa al bando, ma non so cosa è vero e cosa è stato inventato per la TV.»

«Uhm, è…» La voce di Isaac sfumò.

Padre si unì a Madre, appena fuori dalla stanza, stando in piedi dritto come un fuso. Nel guardarli, il ragazzo sentì le lacrime pungergli gli occhi. Erano passati soltanto pochi mesi, ma i suoi genitori sembravano più vecchi. Dalla barba, appesa al mento di Padre, il grigio si era esteso fino ai capelli, dove si era intrecciato al nero della sua zazzera. Con le mani, l’uomo stringeva il cappello nero. Il lungo abito scuro pendeva sul corpo assottigliato di Madre; Isaac sospettava che, sotto la cuffia e il copricapo pesante, anche i capelli biondi della donna avessero un pizzico di grigio.

Aaron stava parlando e i loro genitori almeno lo ascoltavano, anche se con espressioni tirate. Madre aveva lo sguardo fisso sul pavimento. Isaac ricordò che Danielle gli aveva fatto una domanda. «Prima di andarsene, Aaron era stato battezzato, perciò è stato scomunicato. Viene ignorato. Meidung, si dice.»

«Scomunicato,» ripeté lei. «Quindi è una cosa ufficiale?»

«Sì. Quando hanno deciso che non c’è speranza che la persona che è scappata ritorni, il vescovo lo scaccia ufficialmente durante la messa, consegnandolo a Satana. Diventa un pagano, perché non ha voluto vivere secondo le regole degli Amish.» Aaron continuava a parlare e, anche da quella distanza, Isaac riusciva vedere l’espressione supplichevole che aveva negli occhi.

«Caspita. È talmente…»

«Crudele?» Cercò di ignorare il groppo che aveva in gola. «Pensano che sia giusto. Non soltanto i miei genitori, ma anche il vescovo e i ministri. L’intera comunità. È così che fanno. Pensano che sia il modo migliore di dimostrare amore. Perché, quando ami qualcuno, vuoi il meglio per lui. Ed essere Amish è la cosa migliore. L’unico modo di vivere.» Anche se era stato via per mesi, gli sembrava strano parlarne in termini di loro e noi. Padre stava dicendo qualcosa e Isaac desiderò poter sentire.

«Continuano a parlare con quelli che sono messi al bando? Oppure questa è un’occasione particolare?» Domandò Danielle.

«Possono parlargli un po’, anche se di solito non lo fanno. Nessuno può vendere, né comprare niente da Aaron, né prendere qualcosa direttamente dalla sua mano. Dovrebbe mangiare a un tavolo separato. È un reietto, in tutti i sensi.»

L’infermiera sospirò, spingendo via una scura ciocca di capelli sfuggita alla sua crocchia. «Allora a che servono tutto questo amore e dolore?»

Isaac fece un sorriso beffardo a quel modo di dire Inglese. «Dovrebbe convincerti a tornare alla vita Amish, per poter ritrovare la salvezza. Andare in paradiso. Quando Aaron è scappato, ho pregato giorno e notte che tornasse da noi. Mi faceva stare male da morire pensare che non sarebbe andato in cielo. Era tutto o bianco o nero. Credo che per i nostri genitori sia ancora così.»

«Come sta il tuo amico David? Ho chiesto di lui, e ho avuto l’impressione che voi due abbiate lasciato la città insieme.»

Isaac si sentì stringere il petto e fu investito da una nuova ondata di nostalgia per David. «Infatti. Sta arrivando.»

Danielle abbassò la voce. «Voi due state insieme-insieme, giusto?»

Il ragazzo annuì in modo rigido. Era ancora così, vero? Deve esserlo. «Sì.»

«Ma le vostre famiglie non ne hanno idea? Ad eccezione di tuo fratello, immagino.»

Isaac annuì di nuovo, avvertendo un formicolio alle dita. «Non possono venirlo a sapere.»

«Non preoccuparti, tesoro. Io non dirò nulla. Verresti scomunicato anche tu?»

In fondo al corridoio, Aaron alzò la voce. Isaac moriva dalla voglia di andare là e scoprire cosa stessero dicendo. Ma aspettò e tornò a focalizzarsi su Danielle. «No. Io non mi sono unito alla chiesa, quindi non possono scomunicarmi. Ma diventerei comunque un reietto, anche se, ufficialmente, non sono stato battezzato.» Anche se aveva lasciato Zebulon e non parlava a nessuno dei suoi abitanti da mesi, quell’idea gli faceva ancora scivolare un senso di terrore gelato lungo la spina dorsale. Il pensiero che la sua famiglia venisse a sapere che era gay era anche peggio. «Penso che potrebbe ferirli anche più di così… più del fatto che me ne sono andato e che mi sono smarrito nel mondo esterno. Non riuscirebbero mai a capire il mio tipo di peccato.»

«Non credo che sia un peccato, ma capisco cosa intendi.» sorrise lei, tristemente.

«Isaac.» risuonò perentoria la voce di Padre.

In un battito di ciglia, Isaac sentì che le sue gambe si mettevano in moto, ubbidienti. Aaron se ne stava in piedi, con le braccia incrociate e la mascella serrata. Madre era svanita, probabilmente aveva fatto ritorno nella camera di Nathan. Nathan. Cos’avrebbe trovato Isaac in quella stanza? Fece un cenno col capo e raggiunse l’estremità del corridoio. «Padre,» gracchiò.

Lo sguardo dell’uomo lo percorse freddamente dalla testa ai piedi e, per la prima volta, dopo che Isaac se li era provati in negozio, gli abiti Inglesi gli sembrarono intollerabilmente sbagliati. Subito dopo il suo arrivo, aveva fatto una rapida doccia da June e, almeno, non portava gel nei capelli fin troppo corti. Diede uno strattone al colletto della propria giacca e fece per abbassarne la cerniera, ma poi si rese conto che usare una frivola lampo davanti a Padre avrebbe soltanto peggiorato la situazione. Allungò il collo per guardare dentro la stanza, ma riuscì soltanto a scorgere i piedi di un letto.

Si schiarì la gola. «Come sta?»

«Presto il Signore potrebbe volerlo in paradiso,» rispose Padre in tedesco.

Aaron emise un verso di scherno e borbottò qualcosa sotto voce.

Isaac si sforzò di trovare le parole giuste in tedesco. «Ma se facesse un trapianto? Migliorerebbe?» In tutta onestà, non sapeva veramente cosa fosse un trapianto di midollo osseo, né come funzionasse. Aaron aveva cercato di spiegarglielo, ma era molto difficile da capire.

«Se è la volontà di Dio,» replicò Padre. Fissò il ragazzo. «Ma tu hai dimenticato Dio. Hai permesso che il mondo esterno ti allontanasse.» Fece guizzare lo sguardo verso il figlio maggiore. «Ti sei lasciato traviare.»

«No, non è colpa di Aaron. Padre, so che per te è difficile da capire…»

«Difficile?» tuonò l’uomo, prima di lanciarsi un’occhiata intorno e raddrizzare le spalle. Fece dietrofront ed entrò, a passo di marcia, nella stanza di Nathan.

Dato che non aveva chiuso la porta, Isaac lo seguì con esitazione e Aaron gli andò dietro. Alla vista del fratello minore, Isaac represse l’impulso di gridare: Nathan appariva pallido e piccolissimo nel letto, con i tubi di plastica che sparivano dentro il suo naso e nel braccio, e i capelli castani schiacciati sulla fronte. I loro genitori lo avevano ricoverato in un ospedale moderno, il che significava che la prognosi era infausta, tuttavia vederlo così sottile e debole lasciava Isaac senza fiato.

Il segnale monotono che scandiva il ritmo del cuore di Nathan era l’unico suono all’interno della camera. Quello, e il soffice russare del ragazzo. Isaac ricordò tutte le volte che si era lamentato perché l’improvviso russare di Nathan lo aveva tenuto sveglio, e avvertì il senso di colpa e la vergogna che gli divampavano nel petto. Si sentì lacerare all’idea che fosse un sintomo del cancro. Avrei dovuto capirlo.

Gli altri rimanevano in assoluto silenzio, come se stessero trattenendo il respiro. Madre era ferma al capezzale di Nathan, con le mani giunte e le nocche bianche, a fissare il figlio. Isaac desiderò che alzasse gli occhi. Ripensò di nuovo all’ultima volta che erano stati in quell’ospedale, dopo l’incidente col calesse della signora Lantz, al modo in cui Madre lo aveva stretto. Quel giorno non ci sarebbero stati abbracci.

«Madre, mi dispiace.»

La donna alzò la testa di scatto. «Davvero, Isaac?» Lanciò uno sguardo ad Aaron, oltre le sue spalle. Le luccicavano gli occhi. «Non è troppo tardi. Puoi tornare a casa.»

«Madre…» Nonostante tutto, una piccola parte di lui era tentata. Sarebbe stato così facile tornare indietro, a quando conosceva tutte le regole. Ovviamente sapeva che non era così e che, in realtà, non lo era mai stato.

Tendendo la mano, la donna mosse un passo nella sua direzione. «Isaac, puoi tornare a casa e sistemare tutto. È stata soltanto una fase. Il mondo esterno non è il tuo posto. Tu non sei come lui.»

La voce di Aaron risuonò, tagliente come un rasoio: «Mia madre non riesce nemmeno a pronunciare il mio nome.»

Le labbra della donna tremarono. «Sei stato molto chiaro: non ti pentirai della tua malvagità. Dovresti implorare Dio perché ti conceda la redenzione. Se dimostrassi un cuore veramente umile e la volontà di fare ammenda, sai che ti accoglieremmo a braccia aperte. In tutti questi anni, abbiamo pregato perché accadesse. Ma adesso stai corrompendo anche il nostro Isaac.»

«Non è vero! Non ha fatto altro che aiutarmi,» insisté il ragazzo.

«Aiutarti?» Madre gli voltò le spalle, le tremava la voce. «Tu ci spezzi il cuore.»

Nel silenzio che seguì, Nathan russò e si girò nel letto, con le labbra dischiuse.

«Dovremmo andare a fare gli esami,» disse Aaron. «È per questo che siamo qui. Per nostro fratello.»

Padre lo scrutò con freddezza. «Non vogliamo niente da te, a meno che tu non torni alla chiesa e rimedi a quello che hai fatto. Che dimostri autentico rimorso.»

«Non volete parlare con noi al telefono, nemmeno se è per il bene di Nathan.» Gli occhi di Aaron lampeggiarono. «Le vostre preziose regole sono più importanti. Non avevo intenzione di lasciare che Isaac venisse qui da solo. Per niente. V’importa qualcosa di Nathan? Mi stupisce che non vi siate limitati a escogitare qualche rimedio casalingo preso dal giornale, o cercato di mandar via il cancro pregando. Perché dire di sì alla medicina Inglese proprio adesso, con tutti questi macchinari e l’energia elettrica? Siete dei veri ipocriti.»

La voce di Padre fu a malapena un sussurro. «Vogliamo che il nostro Nathan sopravviva. Salvarlo è la cosa più importante, se Dio lo vuole. Abbiamo già perso due figli.»

Isaac avvertì una fitta di dolore. Dovette abbassare lo sguardo sulle proprie scarpe, battendo rapidamente le palpebre.

«Parleremo col dottore.» Aaron si voltò e sparì.

Isaac spostò lo sguardo dai suoi genitori al viso pallido di Nathan. «Ci vediamo domani. Quando Nathan è sveglio.» Indietreggiò. «Mi dispiace.»

«Isaac, figlio mio.»

Il ragazzo si fermò, col cuore che gli batteva forte. «Sì, Padre?»

L’uomo gli prese la mano. «Non è troppo tardi per te. Torna a casa. Arrenditi al Signore e tutto ti sarà perdonato.»

«Io…»

«Ti prego, Isaac,» sussurrò Madre. «Ti prego

Padre gli strinse fortissimo la mano, e Isaac dovette fare uno sforzo per pronunciare le parole: «Come stanno Ephraim e gli altri? Posso venire a trovarli?»

Padre lanciò un’occhiata a Madre, prima di rispondere: «Pregare ci aiuterà a decidere. Con Nathan qui, le cose sono già sottosopra. Non vogliamo confonderli ancora di più.»

«Isaac, avanti,» lo richiamò Aaron dal corridoio.

Isaac liberò gentilmente la mano da quella dell’uomo. Mentre si allontanava dai suoi genitori, avvertì il peso della loro delusione.

 

***

 

«Sei rimasto all’ora della Costa Ovest?»

Isaac sobbalzò quando June si unì a lui, vicino allo steccato. Il ragazzo cercò di sorridere. «Credo di sì.»

«Scusa… non volevo spaventarti. Pensavo che stessi dormendo al piano di sopra.»

«Ci ho provato, ma…» Isaac giocherellò con un nodo del vecchio legno.

«Capisco. Sono sicura che riuscirai subito a parlare con Nathan, domattina.»

Lui annuì, perché non c’era nient’altro da dire. Il terreno era melmoso e – senza dubbio – Isaac si stava macchiando le scarpe da ginnastica di fango, ma non voleva rientrare. «Come stai? Non te l’ho nemmeno chiesto.»

June sorrise. «Sto bene. Sempre la solita, vecchia me. Sono felice che la primavera stia finalmente arrivando. Ero gelosa di voi ragazzi, in California.» Rise attraverso il naso. «La mia amica Susan cerca di convincermi a trasferirmi da lei, giù in Florida. Vive in un complesso residenziale per pensionati. Dei condomini intorno a una grande piscina, proprio vicino a dei campi da golf. Lei fa aquafit tutte le mattine e, il pomeriggio, gioca a bingo oppure a golf. Lo adora.»

«Sembra… una bella cosa?» Isaac non sapeva che tipo di gioco fosse il bingo, ma non aveva importanza.

«Non riuscirei a sopportarlo. Avere tutte quelle persone intorno, tutti i giorni?» June rabbrividì. «No, grazie tante. Sono abbastanza contenta qui, nel mio piccolo angolo di mondo.»

Isaac scrutò le stelle, che scintillavano tra le ombre nere delle nuvole. «Quanto silenzio. Avevo scordato quanto fosse silenzioso.»

«Sei un ragazzo di città adesso, eh?» La brezza sollevò i capelli fulvi di June, e lei se li spinse via dalla faccia.

Lo era? «Non lo so. È stato eccitante. Mi piace soprattutto il mare.» Amava l’aria salmastra, sulla riva. Ma lì, in campagna, l’aria aveva un profumo altrettanto dolce. Prima non l’aveva mai veramente apprezzato.

«Sono arrivato fino all’oceano, una volta. Atlantic City, in estate. Non esiste niente di simile, davvero. Immagino che San Francisco sia proprio incredibile.»

«Già.» Isaac sorrise, ripensando a quando aveva preso il tram insieme a David. «Ho fatto un sacco di cose nuove. Ho incontrato persone nuove, a cui sono piaciuto. Non pensano che sia un tipo strambo. Ho sempre sognato di andare in posti nuovi e adesso posso farlo.»

June sorrise. «Sembra divertente.»

«Già.» Il ragazzo giocherellò con un vecchio pezzo di fil di ferro legato al recinto. «È divertente. Ma è come… finché non sono tornato qui, non mi sono reso conto di quanto siano accadute in fretta le cose. Tutto va veloce, veloce, veloce. Ora che sono di nuovo lontano dalla città, mi sembra di riuscire a respirare più a fondo, nonostante quello che sta succedendo.» Si passò una mano tra i capelli. «Non ha alcun senso.»

«Certo che sì.» La donna fece un respiro esagerato ed espulse l’aria con un sorriso sghembo. «Niente come l’aria di campagna, la pace e la quiete per ristorare l’anima.»

«Mi piacerebbe averli entrambi. La città e la campagna, intendo.»

«Perché non puoi? Ci sono moltissime persone che fanno i pendolari. E perfino a un topo di campagna come me piace visitare la metropoli, di tanto in tanto. Non deve per forza essere l’una o l’altra cosa.»

«Immagino di no. Non ci ho mai riflettuto. Non sono nemmeno sicuro di tutte le possibilità. Il mondo è talmente grande.»

«Non devi scegliere adesso. Hai tantissimi anni da vivere davanti a te, Isaac.»

Il ragazzo si chiese se domandarglielo oppure no. «Non ti senti sola quaggiù?»

«Oh, ho ancora degli amici a Warren. Mi manca mio marito, naturalmente.» Il suo sguardo si fece assorto. «Era un buon diavolo, il mio Conrad. Ma lo rivedrò di nuovo, prima o poi. Mi tiene il posto in paradiso.»

Isaac sorrise, ma poi si sentì serpeggiare dentro una sensazione spiacevole. Sarebbe andato in cielo, adesso? Era una domanda che si era fatto innumerevoli volte, da quando aveva lasciato Zebulon e, adesso che era tornato, non era ancora arrivato a una risposta.

«Cosa c’è?»

«Stavo solo pensando al paradiso.» Osservò i nudi rami dell’albero ondeggiare nell’ennesima folata di vento gelido proveniente dall’est. «A Zebulon, tutti dicono che esiste soltanto un modo per andarci.»

«E tu cosa dici, Isaac?»

«Non lo so. Io non… non sono disposto a rinunciare a David, per andarci. Né a rinunciare a quello che sono. Ma poi mi sento in colpa, e ho paura che sia la scelta sbagliata.»

«Resta fedele a te stesso[1]. L’ha detto un tizio, qualche centinaio di anni fa, e credo che ci avesse visto giusto. Sei una brava persona, Isaac. Credo che Dio ti ami esattamente per quello che sei. Sia tu, che David. Oh, non vedo l’ora di rivederlo.»

In piedi, accanto al vecchio recinto, sotto la luna nascosta, Isaac si sentì colmare di nostalgia. Voleva David lì con sé. Guardò oltre il campo, in direzione dei boschi. Era felice che fosse troppo buio perché June potesse vedere il rossore che gli scaldava le guance, mentre ricordava la notte in cui era caduto da cavallo e lui e David si erano sfregati l’uno all’altro per la prima volta. Era stato così meraviglioso e… ripensò alla parola che aveva imparato a lezione. Liberatorio.

«La settimana scorsa ho incontrato tuo fratello, Ephraim.»

Isaac distolse bruscamente lo sguardo dagli alberi e fissò June. Sentì il suo cuore mancare un battito. «Davvero? Dove?»

«Anna lo ha portato qui, un po’ di tempo fa. È davvero pieno di energia. Penso che lei abbia una piccola cotta per lui, anche se scommetto che lo negherebbe con tutte le sue forze.»

Il ragazzo emise una soffice risata. «È proprio da Anna. E da Ephraim. Voglio andare a casa subito e prendere a pugni la porta, per rivedere lui, Joseph e Katie. Che succede se i miei genitori non mi permettono di vederli?» Il suo sorriso svanì, il senso di nausea lo fece deglutire a fatica. «Devo vederli. Ephraim ha parlato di me? Era arrabbiato, perché me ne sono andato senza salutare?»

«Credo che lo sia stato. Ma, quando gli ho parlato, mi è sembrato soltanto curioso. Mi ha fatto dozzine di domande su di te e su Aaron.»

Isaac si afferrò al recinto. «Sa di me e David? Glielo ha detto Anna? Sei stata tu?»

«Certo che no.» June gli afferrò una delle mani, sopra il legno consunto. «E penso che non l’abbia fatto nemmeno Anna. Sarebbe meglio che glielo dicessi tu, e credo che dovresti farlo. Nel bene o nel male. Ma la decisione spetta a te. Io voglio soltanto quello che è meglio per te. Per tutti voi.»

Lui annuì. «Grazie. Di tutto.» La prospettiva di dirlo a Ephraim lo spaventava almeno quanto quella di dirlo ai loro genitori. E se Ephraim ne fosse stato disgustato? Se gli avesse voltato le spalle?

La donna rimase in silenzio per alcuni istanti. «Mi piace Aaron. David dice che è stato molto buono con voi.»

Osservando i terreni spogli di June, Isaac ricordò di nuovo David, lì insieme a lui, pallido nella luce lunare, mentre le loro labbra si incontravano dolcemente. E poi il calore delle loro lingue, che scoprivano cosa fosse veramente un bacio. «È vero. Non so cosa avremmo fatto senza Aaron.»

«Dev’essere molto difficile per lui rivedere i vostri genitori, dopo tutti questi anni.»

«Sì.» Quella parola gli graffiò la gola, che sentiva secca come cartavetrata.

«Difficile anche per i vostri genitori. E, allo stesso tempo, meraviglioso. Non riesco neanche a immaginare quanto debba essergli mancato. Non è una cosa facile tagliare i ponti col proprio figlio. Non sto nemmeno dicendo che sia la cosa giusta.» Sospirò. «Gli Amish non si rendono affatto le cose facili, è vero?»

Isaac fece un mezzo sorriso. «Decisamente no.»

«È meraviglioso che l’oncologo visiti Nathan qui, invece di farlo trasferire alla Clinica Mayo, a Rochester. Sarebbe una grossa difficoltà per i tuoi genitori. Troppo lontano per andarci in calesse.»

«Danielle ha detto che è un caso talmente insolito che probabilmente ci scriverà sopra una specie di saggio. Oh, Danielle è un’infermiera. L’ho conosciuta lì, dopo l’incidente dell’anno scorso.»

«Ah, sì. Mi ricordo di lei. Era molto gentile.»

Un colpo di vento fece rabbrividire Isaac. Prima di riuscire a trattenersi, esclamò: «Non so cosa fare.» Disegnò uno dei nodi del legno con un dito.

«A proposito di cosa in particolare, tesoro?» June gli accarezzò la schiena, con la disinvoltura tipica degli Inglesi.

Isaac avrebbe voluto abbandonarsi tra le sue braccia e scacciare via i pensieri che si agitavano nella sua mente. «Non lo so. Tutto quanto. Detesto il modo in cui i miei genitori mi guardano adesso. La delusione. Il tradimento. E se in più sapessero che sono gay, io non… non riesco a immaginare come reagirebbero.» Fece un respiro profondo. «E sono arrabbiato con David.»

Lei non smise di massaggiargli la schiena. «Cos’è successo?»

«È che… noi…» Gli sembrava sleale parlare di David con June, soprattutto perché lui era amico della donna da prima. «Avrei dovuto costringerlo a parlare con me. Sapevo che negli ultimi mesi c’era qualcosa che non andava.»

Lei sospirò. «Quel ragazzo tende a tenersi tutto quanto dentro.»

Il ricordo di David, a torso nudo, e di Clark, premuto contro di lui, lampeggiò nella mente di Isaac. «Voglio fidarmi di lui, ma ho l’impressione di non riuscire a fidarmi nemmeno di me stesso. Sai che cosa voglio dire? Sono arrabbiato con lui, ma anche con me.»

«Okay. Per quale motivo?» Lei gli diede una pacca, poi allontanò la mano e si appoggiò alla staccionata. Attese.

Isaac prese tempo, tamburellando con le dita sul legno. «Quando siamo arrivati in città, per la prima volta in vita mia ho fatto tutto quello che volevo. Aaron, Jen e David si prendevano tutti cura di me. Sono potuto andare a scuola e uscire con i miei nuovi amici, fare cose fiche senza dover lavorare. Non dovevo preoccuparmi dei soldi, perché sapevo che Aaron e David mi avrebbero dato tutto quello di cui avevo bisogno.» Nella notte fredda, sentì che le sue guance si facevano calde. «Ho permesso che mi viziassero. Non ho aiutato David col lavoro quanto avrei dovuto. Lui continuava a dire che era tutto okay. Vorrei che non l’avesse fatto. Non so perché lo faceva.»

«Be’, ti ama. Vuole il meglio per te.»

«Certo. Lo so. Ma lui? Se stava passando un periodo tanto difficile, perché non me l’ha detto?»

«Per certe persone non è affatto facile parlare dei propri sentimenti. Dopo l’incidente di sua madre, non comunicava né con te, né con me. Si teneva semplicemente tutto dentro.»

Isaac annuì. «Ma non capiva che avrei voluto ascoltarlo?»

«Per come la vedo io, la morte di Joshua ha segnato David molto più profondamente di quanto lui si renda conto. So di fare lo psicologo della domenica ma, da unico figlio maschio rimasto, tentare di rispondere alle aspettative dei suoi genitori lo ha messo sotto una grandissima pressione. Poi suo padre è morto, e lui è diventato responsabile di tutta la sua famiglia. Per di più, era segretamente gay, in una società che lo proibisce in modo assoluto. Deve avere interiorizzato la sua paura e la sua solitudine. Penso che sia come un iceberg. Ne vedi una parte, ma c’è molto di più sotto la superficie.»

«Un iceberg,» ripeté Isaac. Pensò al film che avevano visto insieme, dove una nave ne colpiva uno.

«Non so con esattezza cosa sia accaduto a David, a San Francisco, ma so che lui odierebbe darti una delusione. Immagino che abbia preferito mordersi la lingua, piuttosto che rischiare di turbarti o darti un dispiacere, in un modo o nell’altro.»

Quel pensiero fece venire a Isaac voglia di piangere. «Ma io lo amo. Avremmo affrontato il problema insieme. Non voglio essere coccolato, come una specie di bambino piccolo.»

«Non ti biasimo. Ma penso anche che si sia sentito terribilmente vulnerabile.»

Il ragazzo aggrottò la fronte. «Perché? Ero lì con lui. Non avrei mai permesso che gli capitasse qualcosa di brutto.»

«Sì, ma lui viveva con te e tuo fratello. Anche se lavorava, dipendeva da Aaron e da Jen. Dopo la morte di suo padre, erano gli altri a dipendere da lui. Ma a San Francisco viveva sotto il loro tetto, e tutti quelli che conosceva erano legati a loro. So che si sentiva sotto stress per via dei soldi che spendevano per lui.»

«Ma per loro non era un problema.»

«Ne sono sicura, ma riesci a immaginare quanto… debba essersi sentito indifeso? Se voi due aveste rotto, che ne sarebbe stato di lui?»

La voce di Isaac salì bruscamente di tono. «Ma non ci lasceremo! Solo perché sono arrabbiato e… e ferito, non vuol dire che ci lasceremo.»

«Lo so, tesoro. Non dico che sarà così.»

«E solo perché siamo giovani, questo non vuol dire che quello che proviamo non sia reale.» Si sentì rivoltare lo stomaco al pensiero di una vita senza David. «Voglio fare nuove cose, ma voglio farle insieme a lui.» Isaac scosse la testa. «Scusami se ho urlato con te.»

«Non dispiacerti. Sono contenta che la cosa ti faccia irritare. Combatti per quello che vuoi. Combatti per lui. Combatti contro lui, se devi. Non lasciare che si tenga le cose dentro e ti dica che va tutto bene. Affrontalo.» Inarcò le sopracciglia. «E non infilare la testa sotto la sabbia.»

Il ragazzo annuì. «Gli ho permesso di dirmi che stava bene. E c’erano delle questioni che mi infastidivano, ma non gli ho detto niente. Non volevo pensarci. Stavano succedendo talmente tante altre cose che mi sono detto che tutto avrebbe funzionato da sé.» Sospirò. «Stupido, lo so.»

«Umano, è più corretto. Le relazioni non sono semplici. Devi lavorarci su.»

Isaac ficcò la punta gommata della scarpa da ginnastica nel fango. «Ho sempre pensato che, quando ami qualcuno, tutto il resto si aggiusta da solo.»

La risata di June riecheggiò attraverso i campi. «Non sarebbe bello? L’amore è importante, ma ci vogliono un sacco di pazienza e di fegato, anche. A volte Conrad mi infastidiva da morire. E io facevo lo stesso con lui. Ma ne discutevamo. Facevamo compromessi. Ma tu e David non potete farlo, se non siete onesti l’uno con l’altro.»

Lui ripensò a Clark e alle parole che aveva sentito, quella prima notte al bar. Perché non aveva raccontato tutto a David? Forse, a volte, David non era l’unico che si teneva dentro le cose. «Hai ragione.» annuì; nella sua mente, sentiva vorticare tutto ciò di cui lui e David dovevano discutere. «Hai ragione,» ripeté.

«Certo che ho ragione. Sono una donna vecchia e saggia, Isaac.»

«Non sei vecchia. Sembri molto più giovane di mia madre.»

«Be’, non ho sfornato… cosa? Otto bambini? In più ho l’elettricità. Come fa lei, con tutto quel bucato?»

Isaac si rese conto di non averci mai pensato. «Lo fa e basta.»

«È questo che fanno le mamme. Quello che so fare io è preparare una misera tazza di cioccolata calda, lo sai bene.»

Con un dolce sorriso, Isaac ripensò a quando si era seduto nell’accogliente cucina di June – dopo aver parlato al telefono con Aaron – con una tazza deliziosamente calda e fumante tra le mani. «Lo so. Grazie. E non solo per quello.»

«Lo so. Che ne dici se andiamo dentro e te ne preparo un po’? Ti addormenterai subito. Hai bisogno di riposare. Immagino che, la notte scorsa, tu non abbia dormito molto sull’aereo.»

Isaac ridacchiò in modo malinconico. «No. Aaron sì, ma io continuavo a preoccuparmi che l’aereo potesse cadere dal cielo.»

«Ti capisco.» La donna lo prese a braccetto e fecero ritorno alla fattoria a due piani. «Conrad si addormentava come un bambino subito dopo il decollo, ma non io. Nossignore.»

Qualche ora più tardi, Isaac scivolò sotto una spessa trapunta Amish, nella camera degli ospiti, col sapore della cioccolata che gli indugiava sulla lingua. Il letto era insopportabilmente vuoto. Il ragazzo si rese conto che, da quando avevano lasciato Zebulon, quella era la prima volta che dormiva da solo. Davvero erano passati soltanto due giorni da quando si era raggomitolato come un sasso, fingendo di dormire, e David lo aveva raggiunto a letto, dopo essere andato in quel club? Quella era la prima volta che dormiva solo, da che riusciva a ricordare.

Chiudendo gli occhi, recitò una preghiera affinché fosse l’ultima.

Copyright © Keira Andrews and Chiara Fazzi (translator)

[1]È una battuta di Polonio, dall’Amleto di Shakespeare.

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